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In edicola: Storia della filosofia (Reale - Antiseri)


Il primo volume della Storia della filosofia, che Bompiani porta in edicola con il Corriere, promette molto bene. Non credo che gli autori abbiano bisogno di presentazione: Giovanni Reale è forse la massima autorità italiana su Platone, mentre Dario Antiseri è studioso del pensiero contemporaneo, in particolare negli ambiti della filosofia della scienza e del linguaggio.

Il primo tomo, “Dai presocratici ad Aristotele”, è disponibile da ieri (17 ottobre), e sono previste 14 uscite (700 e rotte pagine cadauna), a 14.90 euro più il prezzo del quotidiano. Duecento euro spalmati su più di tre mesi non mi paiono troppi, per un’opera che si presenta con una veste grafica decisamente accattivante. Piena di illustrazioni a colori, i concetti chiave evidenziati in schede e box molto piacevoli all’occhio. Qui il piano dell’opera.

Non è una ristampa di lusso del manuale per i licei: i testi sono tratti da varie opere dei due autori, uscite nel corso degli ultimi vent’anni. Comprende anche molti brani tratti dai classici, e quindi riunisce in sé il manuale e l’antologia filosofica, che al liceo di solito sono volumi separati (almeno ai miei tempi).

Ho già la prestigiosa (e molto più costosa) Storia della filosofia Utet, di Abbagnano; ma come ai tempi dell’università, è sempre bene sentire entrambe le campane e ripassare lo stesso autore sia sull’Abbagnano che sul Reale. Per preparare gli esoneri parziali di Storia della Filosofia I e II, all’epoca usavamo i manuali dei licei. Ricordo che il Reale/Antiseri era imbattibile sugli autori minori, e che in generale rispetto all’Abbagnano era molto più prolisso. Motivo per cui, chi aveva fretta studiava solo sull’Abbagnano. E i prof se ne accorgevano, se ripetevi a pappagallo le formulette dell’Abbagnano, che spesso semplificavano troppo i concetti.

Ci sono altri alumni di Filosofia che possono raccontare esperienze diverse dalla mia?

(No, non è una marchetta. Mi piace proprio ’sta roba, e me la pago di tasca mia.)

Pulizie di primavera

Sì, sento anch’io la mancanza del vecchio tema, eccome; però era troppo scomodo e pesante. Questo ha una colonna principale più larga, più adatta quindi ai post medio-lunghi, che stanno prendendo il sopravvento per le ragioni che spiegavo qui – ragioni a cui nel frattempo si è aggiunto FriendFeed. In pratica, i post brevi diventano post su Tumblr, Twitter o FF. Meno post sul blog, e quindi – si spera – contenuti più meditati e interessanti.

Se ne parlava giusto ieri su FF, ma è un discorso che sento fare da più parti ultimamente. A me pare un bene; man mano che si affermeranno strumenti di aggregazione delle diverse piattaforme su cui produciamo contenuti, dovremmo poterci creare un’identità virtuale più articolata, consentendo però – a chi “da fuori” vuol conoscerci meglio – di trovare raccolto in un’unica pagina tutto ciò che scriviamo in giro, ovvero il cosidetto “lifestream”. Sweetcron mi sembra un primo passo, interessante e pionieristico a modo suo. Prima o poi lo testerò.

Per questo tutti i miei account sui social network sono liberamente accessibili (niente lucchetti!), e per questo ho sempre lasciato tanto spazio ai widget sul blog: ciò che scrivo e commento su FriendFeed (e quindi Twitter, Tumblr, Flickr…) mi rappresenta tanto quanto i post più lunghi che pubblico qui. Su internet non parlo della mia vita privata (il mio è un lifestream parziale e filtrato), quindi non ho niente da nascondere.

Più spazio a FriendFeed, dunque; così c’è più movimento su questa pagina, ché se aspettate un nuovo post, qua, c’è caso che aspettiate un mese ogni volta. A sinistra, i post; a destra tutto il resto di me. Inoltre questo tema si carica più in fretta (vero?) e ha una palette di colori più sobria. Tanto mi leggete tutti da feed, no? Che vi cambia?

L’ho testato su tutti i browser che ho (e anche su alcuni che non ho, grazie a questo sito). Le due sidebar in fondo non sono una bellezza con IE6, lo so; ma se usate ancora IE, e per giunta il 6, ve lo meritate abbondantemente. Se vedete robe strane in browser più seri, fate un fischio, please.

Del prendersi maledettamente sul serio

*Attenzione attenzione* - Siccome non so esprimermi chiaramente in italiano (il che mi preoccupa, visto il mestiere che faccio), mi si fa notare nei commenti che non è emerso appieno il carattere del tutto personale delle opinioni riportate in questo post. Quindi ci metto questo bel disclaimer, prima che arrivino altri a commentare: questo post riporta le mie opinioni soggettive su un libro che ho letto, e non è da intendersi come critica ad personam agli autori del medesimo. Il post è inoltre permeato da un sottile velo d’ironia; ma siccome io non ho colto l’ironia di alcuni capitoli del libro (così mi si dice), mi pare un giusto contrappasso che voi non abbiate colto la mia.

(La prossima volta che leggerò una recensione negativa del mio libro, vedrò di arrabbiarmi pure io: sembra divertente!)

***


Volevo scrivere un commento su questo libro per aNobii, ma si è allungato oltremodo; quindi lo metto qui, tanto per far sapere che sono ancora viva (non postavo da un mese).

Il libro è questo, Il mestiere di riflettere. Storie di traduttori e traduzioni.

Dice il risvolto:

“Traduttore, traditore, recita un vecchio adagio. Noi traduttori non ci sentiamo affatto traditori, però. Semmai traditi, delle volte. Dietro buona parte dei libri che fanno bella mostra di sé nelle vetrine e sugli scaffali delle librerie ci siamo noi: noi con il nostro lavoro quotidiano, col nostro fare talvolta la guerra e talvolta l’amore con il romanzo di turno. Già, perché la nostra è una vita agrodolce, una vita segnata dall’invisibilità, condizione che a volte ci sta a pennello e altre volte ci sta un po’ stretta. Bene che ci vada, siamo un nome che fa capolino da un frontespizio. Questa è una raccolta di racconti, di storie: storie di traduzioni ma soprattutto storie di traduttori. Perché tra queste pagine, tra queste righe c’è il nostro lavoro, c’è la nostra vita, ci siamo noi.” A partire da un romanzo, da un’esperienza di traduzione, alcuni tra i più brillanti e noti traduttori italiani ci raccontano storie di lavoro, di passione, ma anche – e soprattutto – di vita.

(Mica cotiche.)

Dico io:

Ci sono alcune belle istantanee di vita quotidiana del traduttore. Ho trovato interessanti soprattutto i reportage sulle traduzioni a più mani: io faccio questo mestiere appunto per poter avere meno contatti possibile con altri esponenti della specie homo sapiens, quindi trovo difficile capire come si possa lavorare dovendosi confrontare continuamente con un altro. E ci sono alcuni succosi aneddoti sulla risoluzione di giochi di parole, l’eterna croce del traduttore.

Però.

Sono ancora dell’idea che molti miei colleghi nutrano un’opinione ridicolmente elevata circa la natura “artistica” del proprio lavoro e il trasporto passional-esistenziale necessario per svolgerlo al meglio.

Non so ai non traduttori, che invito a palesarsi nei commenti, ma a me fanno ridere frasi del tipo: “[La traduzione è] una via d’accesso al mistero… [che è] proprio l’essenza del nostro dilemma quotidiano e della nostra quotidiana estasi”; oppure: “Tradurre è anche un viaggio dentro se stessi”, oppure: “La dimensione etica del raccogliersi e dello scrivere. Del raccogliersi per scrivere. Del tradurre.”

A me paiono degli invasati. Alcuni eh, mica tutti. Signori, e soprattutto signore, ficcatevelo in testa:

1) Non siete scrittori, non siete artisti, non siete sacerdoti di culti esoterici.
2) Tanti redattori sono più artisti di voi. E sapete quanto guadagna il redattore precario che rivede la vostra traduzione e corregge i vostri erroracci (e i miei)?
3) (corollario del precedente) Smettetela una buona volta di frignare che la vita è agra, e che le cartelle da duemila battute son tante, e che vi pagano poco: l’editoria è piena di gente che guadagna meno di voi.
4) (corollario globale totale) Ripigliatevi.

Io, quando sono alla scrivania, non faccio viaggi dentro di me; cerco solo di guadagnarmi dignitosamente la pagnotta. Venti-venticinque cartelle al dì da tre anni, quattro o cinque riletture a fondo per ogni libro, sano artigianato editoriale. E, vivaddio, non è mia abitudine fare l’amore con i romanzi.

(Questo discorso è valido almeno per altri tre o quattro libri sul “punto di vista del povero traduttore” che ho letto di recente. E per tanta gente che gira su Biblit, su Proz e in altri rifugi utili a darsi reciproche pacche sulle spalle, atteggiandosi a intellettuali incompresi.)

(E qualcuno spieghi al redattore di questo libro che i trattini degli incisi sono medi, e preceduti e seguiti da uno spazio.)

E per favore – qui mi rivolgo alle due co-traduttrici di Eclipse, la cui spocchia sembra non avere confini – prendete meno per il culo le fan di Twilight: vi danno il pane. Ve lo dice una che di certo non le ama alla follia. Ma mi danno il pane (un tozzo qui un tozzo là, via), e non mi piace sputare nel piatto in cui mangio. Anch’io ho tradotto romanzi di genere, e saggi quantomeno discutibili; e mi hanno insegnato molti trucchi del mestiere, a volte più dei romanzi “letterari”. Umiltà, ci vuole.

Il blog ufficiale di Twilight

Breve comunicazione di servizio.

Si inaugura oggi il nuovo blog ufficiale del film Twilight, ospitato sul sito della Eagle Pictures e gestito dalla redazione di BadTaste, nella persona della vostra qui presente me medesima. Il blog si chiama “La gazzetta di Forks”, e proporrà ogni giorno notizie, foto, video e approfondimenti sul fantasy più atteso della stagione cinematografica autunnale.

Naturalmente anche su BadTaste troverete ogni giorno notizie fresche su Twilight, nell’apposita sezione; quindi – mi rivolgo ai fan – continuate pure a seguire entrambi i siti: cercheremo di proporvi qualcosa di nuovo ogni giorno.

(Amici non twilightiani: Tranquilli, non aggiungerò questo feed al mio account di FriendFeed: non voglio obbligarvi a mettere in hide tutti i miei (tanti) blog e siti. Mi sforzo di spammare il meno possibile.)

And by a sleep to say we end the heartache

L’insonnia è, al pari del mal di schiena, uno dei disturbi tipici dell’età contemporanea e più frequenti nei Paesi occidentali. Ne consegue l’uso massiccio di farmaci che possono dare dipendenza, con forti costi sociali (calo del 20% della produttività sul lavoro; e ottomila morti l’anno solo per i “colpi di sonno” al volante).

Leggevo che secondo alcuni, la grande diffusione dell’insonnia nella nostra società dipende dall’abbandono dei ritmi di sonno tipici del mondo antico. Come accade oggi in molte società primitive, anche i nostri bisnonni dormivano un “primo sonno” e un “secondo sonno” di circa quattro ore ciascuno, inframmezzati da 1-3 ore di veglia in piena notte; e sembra proprio che questa scansione del sonno sia più naturale, più in armonia con il ritmo circadiano dell’uomo.

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