Adesso tocca a lui. Anzi a loro: Jannik e Carlos, i due ventenni che si stanno cucendo addosso il futuro del tennis. Il nuovo n. 1 e quello che lo è stato da ragazzino, a 19 anni, il più pischello fra i re della classifica da quando esiste il computer, ora numero 3, ma sicuramente più temibile dell’acciaccato Djokovic.

Stessa ambizione, caratteri diversi, quasi opposti come i loro fisici, la volpe Sinner e il puma Carlos. Alle 14,30 si incontrano nella semifinale più nobile del Roland Garros, lo Slam dove l’anno scorso Carlitos in semifinale si fece prendere dall’ansia da prestazione e uscì dal match contro il Djoker. Sinner se ne era già andato prima, escluso al secondo turno, incapace all’improvviso di sorridere sul campo.

Dodici mesi più tardi, con tutto il rispetto per la seconda semifinale fra Zverev e Ruud (non prima delle 17,30), «è questo il match che tutti vogliono vedere», come dice, senza arroganza ma con consapevolezza lo stesso Alcaraz. Il bilancio ufficiale è in parità, quattro vittorie a testa, che diventano 5 per Carlitos conteggiando la vittoria nel Challenger di Alicante del 2019, parente della preistoria. «Tutto quello che fa Jannik è perfetto», dice lo spagnolo.

«Colpisce la palla in maniera incredibile, si muove molto, molto bene. Ti spinge al limite su ogni palla, ogni punto. Con lui ho sempre sofferto, ma sono queste le sfide che mi piacciono».

Jannik non è sazio, essere arrivato in vetta per il ritiro di Djokovic non gli basta, non lo accontenta. Non lo sfama. «Sono venuto qui per capire quanto valgo davvero sulla terra rossa».

Terapie nell’acqua, riposo, poi il verdetto: vai pure a Parigi e gioca tranquillo. Inutile dire che nella corona di tutte gioie che l’Italia sta indossando a Parigi – compresa la semifinale under 18 di Lorenzo Carboni, allievo di Riccardo Piatti – la sua gemma sarebbe la più preziosa. Il diamante del re.