Grande Torino

Valentino, il leader del campo, il marinaio con un corpo da gigante – La Stampa.

I titolari del Grande Torino erano tutti molto dotati tecnicamente. Il portiere Bacigalupo era genovese e studiava medicina. Non si allontanava apposta dalla traiettoria della palla per compiere balzi più vistosi: era di stile sobrio e misurato: parava il parabile, come usano i grandi portieri. Ballarin, terzini destro, era chioggiotto: stilisticamente splendido, era capace di anticipi imperiosi, di entrate in tackle piene di grinta, di respinte al volo tempestive ed energiche.

Il terzino sinistro era Maroso, uno dei prodotti più classici del calcio italiano in assoluto. La longilineità conferiva eleganza ad ogni suo gesto agonistico, il tocco di palla era morbido, la precisione somma, così l’intuito creativo e perfino il senso del gol. Stopper era il bresciano Rigamonti. Anche lui studiava medicina.

Aveva muscolatura possente, quasi ipertrofica, staccava con prepotenza per colpire di testa, anticipava e incontrava con la grinta di un mastino. In centrocampo nasceva il gioco. I due mediani erano il vercellese Castigliano e il triestino Grezar. Il primo era di struttura potente e sapeva battere a rete da fuori area con tiri squassanti.

Il secondo era più contenuto ed elegante nel porgere, quasi sempre in appoggio a quel grande patron del campo che era Valentino Mazzola. Quando Castigliano avanzava per concludere, solitamente era Loik a coprire il suo spazio. Il centravanti era Gabetto, prodotto juventino. Chiuso in Juventus da Felicino Borel, Gabetto era emigrato in partibus infidelium, arricchendo il gioco torinista dei suoi estri balzani, le sue acrobazie a filo d’erba, i ghiribizzi, le continue trovate a sorpresa.

Infine le ali: a destra Berto Menti, vicentino, a sinistra Ossola, lombardo di Varese. Menti aveva la dinamite nel destro: ogni apertura verso di lui creava occasioni per bordate assassine. Ossola era più giocoliere: gli si addicevano il controllo, il dribbling, il ricamo elegante: e sgusciava in area come un’anguilla, ma più spesso amava servire i compagni più abili di lui nel tirare. Ebbe luogo il 4 maggio 1949.

Fu un terribile urto contro il basamento della Basilica di Superga. L’aereo con a bordo il Torino rientrava da Lisbona, dove aveva perduto senza drammi un’amichevole con il Benfica. L’atterraggio doveva aver luogo a Milano. Per la smania di rientrare, all’ultimo istante il pilota deviò verso Torino.

Lo schianto fu orribile, tanto che i poveri corpi ne vennero tutti sconciati. Con i torinisti perirono Erbstein, Livesley e tre giornalisti di fama quali Casalbore, Cavallero e Tosatti. Con il grande Torino il calcio nazionale perdette una decina di elementi dotati di classe internazionale certa. Il tragico evento sarebbe costato al nostro sport un ritardo di almeno 20 anni nei confronti degli altri paesi protagonisti del calcio mondiale.

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