Copa 71

Censurato il Mondiale di calcio femminile – La Stampa

Immaginate uno stadio pieno, più che pieno: 110 mila persone, è l’Azteca, il campo di Italia-Germania 4-3, quello della mano di Dio, Maradona contro l’Inghilterra, ma siamo nel 1971 e la folla è lì per guardare calcio femminile. Difficile visualizzare quello che sembra impossibile da credere, anche se è semplicissimo capire che cosa è successo dopo: discriminazione, pregiudizio, condizionamento culturale e altri cinquant’anni per rivedere una scena simile. Ora un film racconta l’estate in cui il progresso poteva fare uno scatto in avanti e invece è rimasto lì, strozzato nel bel mezzo di una festa, sgonfiato dal fastidio, travolto da una morale posticcia che ancora circola subdola. Il Pordenone Docs Festival, domani, presenta per la prima volta in Italia *Copa 71* e mette insieme una cordata che lo distribuisca con l’aiuto di Fandango, Ultimo uomo, CineAgenzia e Voce Donna, circuiti diversi per una visione globale dedicata a un Mondiale dimenticato e oggi rimesso in circolo: racconta molto più di quello che si vorrebbe ascoltare.

Sei nazionali, uno sponsor, una tv che si fa garante del pienone e il Sudamerica che decide di partecipare a quella che lì per lì pare una rivoluzione. Non ci sono gli Usa che pure sarebbero diventati i promotori del calcio femminile come lo conosciamo, però c’è Brandi Chastain e si domanda: «Come è potuto succedere?». In reggiseno sportivo senza marchio sopra, quello, con un baffo, sarebbe arrivato dopo, tutto sarebbe successo dopo: l’evoluzione in Nord America, il Nord Europa che si sveglia nei Duemila e i numeri che crescono, le calciatrici che aumentano, il movimento che si forma e si espande fino al 2013, edizione Mondiale in cui torna a esistere, dopo molto tempo, anche l’Italia, edizione in cui gli ascolti si notano e le richieste di stipendi equi si fanno precise, il professionismo diventa reale. Un lento riposizionamento spacciato per continuità, invece no.

È una rinascita dopo un’imboscata. Quel Mondiale, rivestito poi di estemporaneità hippy, esisteva senza una federazione internazionale a sostenerlo. Era già noto, ma quasi come momento di folklore. Con *Copa 71* le voci di tante protagoniste restituiscono il rumore dei piedi battuti sugli spalti, del tifo, dell’entusiasmo, del livello di un calcio che era tanta atletica e poca tecnica, ma non faceva sconti e interessava al pubblico.

La storia riemerge, si è già affacciata al presente nell’ultimo decennio, solo che erano sempre pezzi di una strana euforia, riassemblati come sbronza collettiva. *Copa 71* è un docu film, ricerca la realtà per definizione, espone lucida memoria che si fa pure faticosa nelle parole delle inglesi: «Possibile che ci fosse la fila per guardarci e al ritorno a casa nessuno ad aspettarci?». Le danesi sono ancora più esterrefatte, gli anni non placano lo stupore: «Avevamo vinto un Mondiale che gli uomini non avevano neppure accarezzato e ci hanno fatte sparire». Eppure venivano da una carriera comune: Gill che diventa Billy, Nicole che si fa passare per Nic.

Ragazze costrette a trovarsi un nome da maschio, ragazze a cui spariscono i cambi negli spogliatoi, ragazze insultate perché si allenano a tirare punizioni. Conoscevano bene la società in cui erano piantate, però in quelle poche stagioni ribelli era successo qualcosa ed era naturale supporre di andare avanti, di muoversi a partire dai risultati toccati. Pioniere, anzi «pionierissime» come ripetono le italiane nel film, per nulla preparate a essere accantonate, private della possibilità di influenzare la generazioni successive, di firmare un cambiamento. Sapevano di rappresentare una svolta, raccontano come e perché la strada costruita è stata fatta saltare per aria.

Due anni prima dell’avventura in Messico, degli imprenditori torinesi intuiscono le potenzialità di un torneo al femminile e si associano alla Martini e Rossi, che poi resta come marchio Mondiale, per una competizione a inviti. Non solo il pallone delle donne, ma l’indipendenza, la determinazione, la fisicità, l’ovvia contrapposizione a stereotipo già logori allora eppure in grado di rimpolparsi proprio a partire dallo sdegno per quel successo. Il Mondiale del 1971 era un’ipotesi, nessuno supponeva avrebbe conquistato la gente e il seguito ha fatto paura. Quando si dice la caccia alle streghe non è tanto per dire, è successo, ripetutamente e non ne siamo ancora completamente fuori per cui uno sguardo a *Copa 71* può essere utile.

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