Pietro Arese

Pietro Arese: “Il mio record, un uragano di emozioni. Il mezzofondo si è svegliato tardi, ma ci siamo” – La Stampa

Sul traguardo, nella pista definita “la culla del mezzofondo”, c’era “una bomba emotiva nel cuore”. In queste condizioni, Pietro Arese poteva solo scoppiare a piangere per il record italiano dei 1500 metri siglato ad Oslo, all’interno del Bislett Stadion, in 3’32″13: un cronometro che non si rinnovava da 34 anni.

Il precedente primato apparteneva a Gennaro Di Napoli nel lontano 1990, e il giovane atleta di 24 anni, di solito riservato, non lasciava trasparire affatto di potersi sciogliere così: “Sono un tipico piemontese, schivo, tengo i miei sentimenti dentro fino a quando non accade qualcosa di straordinario e allora tutto esce fuori in un colpo”. Essere lì, dove si sono visti risultati pazzeschi nella mia specialità, significa centrare la qualificazione olimpica e raggiungere, almeno sul piano cronometrico, i grandi nomi del mezzofondo azzurro.

“Posso solo immaginare come si sentirà chi riuscirà a battere il mitico record dei 200 metri di Mennea.” In questa fase di exploit per l’atletica italiana, il mezzofondo è la distanza che si è ripresa più tardi.

La mia generazione, intorno al 1997 e il 2002, sta facendo vedere di che pasta è fatta: io, Battocletti, Crippa, Tecuceanu ci stiamo facendo notare. Gli avversari sono davvero duri.

Forse non mi ha mai guardato bene in faccia, arriva sempre prima, ma per anni non mi ha salutato. Ora concede un cenno.

Qui lavoro con Silvano Danzi in condizioni ottimali. Rimango piemontese dentro, ancora non so se dire varesino o varesotto.

La mia appartenenza è granata. Le corse al Valentino, che un tempo era un circuito di Formula 1, mi ispirano molto.

E poi c’è l’accento. Mia mamma dice che imparavo le parole da bambino già con quella cadenza.

Sono sempre stato un tifoso delle nazionali. Se ascolti i suoi discorsi da capitano, sembra che parli delle Olimpiadi… È giusto che sia il portabandiera a Parigi, per me è come se avesse vinto un altro oro, è un onore per pochissimi.

Tra le persone che hanno condiviso un pezzo del mio cammino, come il primo allenatore che mi ha portato in pista, e l’amore di affetti fondamentali, come mia nonna scomparsa due anni fa, ci sono tutti dentro quel tempo. Forse ci sono contrasti personali che esistono e si risolvono, ma se entri in mensa durante un ritiro, respiri solo compattezza.

Le Olimpiadi di Tokyo hanno davvero capovolto le prospettive, non è retorica. Guardi cinque ori italiani e pensi che non ci sia un obiettivo troppo grande, capisci che dipende solo da te.

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