Il derby di Federico Gatti non è solo emozione contagiosa, carica o ansia indotte da una rivalità legata alla maglia: le radici a Rivoli, i sogni spezzati in granata e la fede calcistica di casa agitano i sentimenti del difensore bianconero. «Ormai sto convertendo la mia famiglia – sorride -: papà è stato sempre tifoso del Toro, ma il mio amore per la Juve lo sta facendo avvicinare.

Viene con frequenza allo stadio, non l’avrei mai detto». Per il resto ho ampi margini, sia in fase difensiva sia d’impostazione, ma si cresce giocando.

In particolare devo lavorare sulla gestione delle energie, spesso spendo tanto e passo minuti in apnea». E il mettersi in discussione ogni giorno.

Allegri ripete sempre una frase di Vialli: “Vincere qui non è una gioia, ma un sospiro di sollievo». Il calore della gente mi carica, amo l’atmosfera calda dello stadio».

Sento più la vigilia che la partita, al fischio d’inizio pensi solo a dare tutto». Sulle statistiche non mi soffermo e comunque l’aspetto personale è secondario: in testa ho solo due obiettivi, arrivare in Champions e vincere la Coppa Italia».

Direi Vlahovic, ma ci gioco insieme. con avversari così devi stare sempre sul pezzo: a loro basta una sola palla giusta per far gol, a te un solo sbaglio per rovinare tutto».

«Ci conoscevamo da ragazzi: lui è un anno più piccolo, eravamo tutti e due nel Toro. Ci siamo ritrovati in azzurro».

Abbiamo infilato un periodo di quelli in cui tutto va storto, ma ci abbiamo messo del nostro, peccando di inesperienza. Il nostro è un percorso di crescita».La Juve deve crescere e tornare a quei grandi livelli».

Giocavo nella Juniores e speravo, un giorno, di giocarli io». Il fatto è che dietro un monitor la prospettiva non è reale, al rallentatore l’entità dei contatti è diversa: io stesso, rivedendomi, non mi riconosco perché le dinamiche del campo sono differenti.

Oggi un calciatore non può fare nulla: noi difensori dovremmo sparire dall’area». Sta rientrando da un infortunio serio».

La natura. I viaggi, specie in luoghi di mare».