Per chiudere qualche tab
apr 8, 2009 autoreferenzialità, diritti civili, editoria, gay pride, lgbt, minima moralia, traduzione
Un po’ di segnalazioni sparse, per chiudere alcune delle venti tab di Firefox che ho qui aperte, e con l’ulteriore intento di comunicare al mondo che questo blog è ancora in attività. Se già non l’avete tolto dai feed.
Tra le altre cose, sono giunta alla conclusione che nell’ottica di un’ecologia del pensiero, e per scongiurare l’insorgenza della drammatica sindrome del blogger tuttologo, è buona norma leggere diecimila parole per ogni parola che si scrive. Personalmente sto seguendo proprio questa filosofia, oltre alla mia solita regoletta aurea, che recita: “Non premere Invio se non hai la certezza che le tue parole possano tornare utili a qualcuno”. Donde la mia poca attività online in questo periodo, compresi i social network.
- I Pride di quest’anno: Genova (Pride nazionale) il 27 giugno (vigilia del quarantennale di Stonewall), io e Remuz ci saremo; Milano… non si sa ancora quando, ma io e Remuz ci saremo; Roma 13 giugno.
- Un’interessante riflessione sull’uso e l’abuso della pagina dei ringraziamenti nei libri. Non so voi, ma io quella pagina lì la trovo un’americanata pazzesca (locuzione da leggersi a mo’ di Fantozzi re. Corazzata Potëmkin), e noto con sgomento che si è diffusa anche tra gli autori italiani. Detesto tradurre quegli Aknowledgments imbevuti di retorica, e quando è capitato a me di scrivere un libro non ho inserito dediche né ringraziamenti. Lo trovo lezioso e sentimentale, suppongo che al lettore non interessi, e comunque preferisco ringraziare di persona. Credo che questa idiosincrasia mi sia venuta quando ho visto tesi di laurea dedicate alla mamma e all’amica del cuore “che mi ha aiutato a correggere la grammatica”. Doveroso ringraziare i colleghi e le persone che materialmente hanno contribuito alla stesura o alla revisione, o all’elaborazione delle idee; ma la mamma, vi prego, la mamma no.
- Wu Ming 4 parla del valore dell’allegoria in Tolkien, dell’influsso dei temi cristiani sul SdA, delle “puerili” strumentalizzazioni politiche:
La faccenda non era di poco conto per Tolkien, che non ha mai condiviso la scelta dell’amico C.S.Lewis, nella cui narrativa fantastica i personaggi ricalcano pedissequamente le figure evangeliche e le storie hanno un evidente intento apologetico. L’unica allegoria che Tolkien era disposto ad accettare era quella aperta, la cui universalità non è dovuta all’autorevolezza del messaggio a cui allude, bensì alla complessità e profondità del messaggio stesso di cui la storia si fa latrice.
- Interviste a due grandi traduttori: la compianta Adriana Motti (Il giovane Holden) e l’immenso Vincenzo Mantovani (intervista in pdf), che ha tradotto di tutto e di più, da Roth a Bellow a Faulkner a Asimov a Crichton. Bello che entrambi, contro ogni regoletta da manuale, ribadiscano che leggersi tutto il libro prima di iniziare a tradurlo è *noioso*. Lo è, lo è; e se la prima lettura coincide con la prima stesura, poco male: il bravo traduttore fa tante riletture, e lì si accorge di tutto quello di cui si deve accorgere. (Cioè, Mantovani se ne accorge; io, boh. Speriamo.)
Tag: gay pride, letteratura, lgbtqi, libri, tolkien, traduzione
Parentesi uncinata, ul, chiusa parentesi uncinata
dic 9, 2008 autoreferenzialità, traduzione
Sì, sono ancora viva. E torno nel modo che mi riesce meglio: con un post breve, senza fronzoli e bulleted.
- Ho recensito su aNobii Harry, A History di Melissa Anelli. Col beneplacito dell’autrice, che peraltro è italoamericana, sto cercando di convincere qualche editore italiano a tradurlo. Se poi lo fanno tradurre a me tanto meglio, ma l’importante è che venga tradotto, perché, pur non esente da difetti, è il testo più completo ed esauriente scritto finora sull’argomento. E l’argomento non sono i libri di Harry Potter, ma il fandom. (Lo so che non c’è logica nelle mie scelte di postare recensioni qui o su aNobii. Dovrò decidermi.)
- Una serie di errori classici commessi dai madrelingua inglese. E dunque, a maggior ragione, da chi scrive in inglese come seconda lingua.
- A proposito, se lavorate con la lingua inglese – attivamente, cioè scrivendo in inglese, o passivamente, cioè traducendo – vi consiglio questo libro.
- Pubblica utilità. Messaggio per colui/lei il/la quale è capitat* sul mio blog cercando con Google “come si fanno le lettere accentate con il Blackberry 8300″:
1) esistono anche i manuali d’uso, nevvero.
2) le accentate si fanno tenendo premuto il tasto della lettera e facendo scorrere in orizzontale la trackball.
Oooh. Bòn, mi sento utile a qualcuno, almeno. - Oggi consegno una traduzione, e, benché ce ne sia un’altra in corso e due in arrivo, spero di trovare un po’ di tempo (alla buon’ora, diranno subito i miei piccoli lettori) per aggiornare il sito con altre esegesi traduttorie potteriane. Il tutto ovviamente se non mi esplode il suddetto sito (e questo blog) quando lo aggiornerò a WP 2.7.
- Uno dei due libri in arrivo di cui sopra è decisamente 2.0. Diciamo che è il sequel di un saggio molto famoso uscito un paio di anni fa. Diciamo che l’ha scritto il direttore di una nota testata mensile d’oltreoceano. E ho detto tutto [cit.]. Promette bene; e se avrò qualche dubbio traduttivo, so già che posso chiedere il parere degli esperti su FriendFeed. Facciamo la traduzione collaborativa 2.0. Figo.
Tag: anobii, blackberry, harry potter, lingua inglese, traduzione
Del prendersi maledettamente sul serio
ott 16, 2008 traduzione
*Attenzione attenzione* - Siccome non so esprimermi chiaramente in italiano (il che mi preoccupa, visto il mestiere che faccio), mi si fa notare nei commenti che non è emerso appieno il carattere del tutto personale delle opinioni riportate in questo post. Quindi ci metto questo bel disclaimer, prima che arrivino altri a commentare: questo post riporta le mie opinioni soggettive su un libro che ho letto, e non è da intendersi come critica ad personam agli autori del medesimo. Il post è inoltre permeato da un sottile velo d’ironia; ma siccome io non ho colto l’ironia di alcuni capitoli del libro (così mi si dice), mi pare un giusto contrappasso che voi non abbiate colto la mia.
(La prossima volta che leggerò una recensione negativa del mio libro, vedrò di arrabbiarmi pure io: sembra divertente!)
***
Volevo scrivere un commento su questo libro per aNobii, ma si è allungato oltremodo; quindi lo metto qui, tanto per far sapere che sono ancora viva (non postavo da un mese).
Il libro è questo, Il mestiere di riflettere. Storie di traduttori e traduzioni.
Dice il risvolto:
“Traduttore, traditore, recita un vecchio adagio. Noi traduttori non ci sentiamo affatto traditori, però. Semmai traditi, delle volte. Dietro buona parte dei libri che fanno bella mostra di sé nelle vetrine e sugli scaffali delle librerie ci siamo noi: noi con il nostro lavoro quotidiano, col nostro fare talvolta la guerra e talvolta l’amore con il romanzo di turno. Già, perché la nostra è una vita agrodolce, una vita segnata dall’invisibilità, condizione che a volte ci sta a pennello e altre volte ci sta un po’ stretta. Bene che ci vada, siamo un nome che fa capolino da un frontespizio. Questa è una raccolta di racconti, di storie: storie di traduzioni ma soprattutto storie di traduttori. Perché tra queste pagine, tra queste righe c’è il nostro lavoro, c’è la nostra vita, ci siamo noi.” A partire da un romanzo, da un’esperienza di traduzione, alcuni tra i più brillanti e noti traduttori italiani ci raccontano storie di lavoro, di passione, ma anche – e soprattutto – di vita.
(Mica cotiche.)
Dico io:
Ci sono alcune belle istantanee di vita quotidiana del traduttore. Ho trovato interessanti soprattutto i reportage sulle traduzioni a più mani: io faccio questo mestiere appunto per poter avere meno contatti possibile con altri esponenti della specie homo sapiens, quindi trovo difficile capire come si possa lavorare dovendosi confrontare continuamente con un altro. E ci sono alcuni succosi aneddoti sulla risoluzione di giochi di parole, l’eterna croce del traduttore.
Però.
Sono ancora dell’idea che molti miei colleghi nutrano un’opinione ridicolmente elevata circa la natura “artistica” del proprio lavoro e il trasporto passional-esistenziale necessario per svolgerlo al meglio.
Non so ai non traduttori, che invito a palesarsi nei commenti, ma a me fanno ridere frasi del tipo: “[La traduzione è] una via d’accesso al mistero… [che è] proprio l’essenza del nostro dilemma quotidiano e della nostra quotidiana estasi”; oppure: “Tradurre è anche un viaggio dentro se stessi”, oppure: “La dimensione etica del raccogliersi e dello scrivere. Del raccogliersi per scrivere. Del tradurre.”
A me paiono degli invasati. Alcuni eh, mica tutti. Signori, e soprattutto signore, ficcatevelo in testa:
1) Non siete scrittori, non siete artisti, non siete sacerdoti di culti esoterici.
2) Tanti redattori sono più artisti di voi. E sapete quanto guadagna il redattore precario che rivede la vostra traduzione e corregge i vostri erroracci (e i miei)?
3) (corollario del precedente) Smettetela una buona volta di frignare che la vita è agra, e che le cartelle da duemila battute son tante, e che vi pagano poco: l’editoria è piena di gente che guadagna meno di voi.
4) (corollario globale totale) Ripigliatevi.
Io, quando sono alla scrivania, non faccio viaggi dentro di me; cerco solo di guadagnarmi dignitosamente la pagnotta. Venti-venticinque cartelle al dì da tre anni, quattro o cinque riletture a fondo per ogni libro, sano artigianato editoriale. E, vivaddio, non è mia abitudine fare l’amore con i romanzi.
(Questo discorso è valido almeno per altri tre o quattro libri sul “punto di vista del povero traduttore” che ho letto di recente. E per tanta gente che gira su Biblit, su Proz e in altri rifugi utili a darsi reciproche pacche sulle spalle, atteggiandosi a intellettuali incompresi.)
(E qualcuno spieghi al redattore di questo libro che i trattini degli incisi sono medi, e preceduti e seguiti da uno spazio.)
E per favore – qui mi rivolgo alle due co-traduttrici di Eclipse, la cui spocchia sembra non avere confini – prendete meno per il culo le fan di Twilight: vi danno il pane. Ve lo dice una che di certo non le ama alla follia. Ma mi danno il pane (un tozzo qui un tozzo là, via), e non mi piace sputare nel piatto in cui mangio. Anch’io ho tradotto romanzi di genere, e saggi quantomeno discutibili; e mi hanno insegnato molti trucchi del mestiere, a volte più dei romanzi “letterari”. Umiltà, ci vuole.
Tag: editoria, lavoro, libri, traduzione
Di passione e bollette
giu 3, 2008 autoreferenzialità, minima moralia, traduzione
Un commento di enneemme al mio post precedente, sempre a proposito del mestiere del traduttore: rispondo in forma di post perché come commento era lunghetto. E poi forse può stimolare altre conversazioni.
Ma più che sul “come si diventa traduttore editoriale” – in mille e più modi, secondo me, ognuno secondo un suo tragitto personalissimo e pressoché irripetibile – io credo che abbia molto più senso interrogarsi sul “come si resta traduttore editoriale”, ovvero sul “come vivere o almeno sopravvivere di questo mestiere”. Perché iniziare a tradurre e anche portare a casa più libri tradotti, se è questo che si vuol fare, bene o male, chi prima e chi poi, si fa. È il dopo a essere più difficile. È quando cominciano a venire meno le forze, l’entusiasmo e forse pure la passione; è quando la gratificazione per aver tradotto questo o quel libro, questo o quell’autore, comincia a non bastare più; è quando ti viene da chiederti “Ma questa è vita? È questo che voglio fare per sempre?” che la strada si complica. Imho, of course.
Mah. Anzitutto non vorrei dare false speranze ai wannabe traduttori che approdano qui: personalmente ho qualche dubbio sull’ottimistica visione per cui “prima o poi ce la si fa”. Nella mia breve esperienza editoriale ne ho visti fallire più d’uno. La concorrenza è spietata, e non sai mai quando e se ti arriverà il prossimo libro. In questo senso è vero che “il dopo è più difficile”; nel senso che è difficile sempre. Come ogni forma di lavoro autonomo.
Quanto alla passione, la gratificazione, bla bla bla, a mio avviso sono subordinati a una domanda molto più semplice: riesco ad arrivare alla fine del mese? Perché alla fine il succo è tutto qui.
Continua a leggere »
Tag: lavoro, traduzione
Aspiranti traduttori?
mag 22, 2008 traduzione
Chi tra voi, oltre a questo blog, segue anche il mio sito avrà già visto la trascrizione della chat su Harry Potter. Qua sul blog invece mi preme segnalare che durante la chat si è parlato anche di come si diventa traduttore editoriale. Premesso che io sono l’ultima persona al mondo che può dare consigli in questo senso; poiché però vedo gente che arriva su questo blog cercando “come diventare traduttore” et similia, mi pareva utile riportare qui il pezzetto di chat in cui ne abbiamo parlato. (Lo trovate dopo lo stacco del post, o qui sotto se leggete da feed.)
Se poi ci sono altri traduttori in ascolto, o persone che gravitano a vario titolo nel mondo editoriale, mi piacerebbe che ci raccontassero come hanno iniziato: può sempre tornare utile agli aspiranti che googlano…
…e magari anche a me, visto che in futuro mi piacerebbe propormi ad altri editori oltre a quelli con cui già lavoro.
(P.S. A breve aggiornerò anche il sito con qualche altra nota sulla traduzione dei Doni della Morte, promesso! Purtroppo il tempo libero da queste parti scarseggia.)
Continua a leggere »
Tag: editoria, libri, traduzione