Per chiudere qualche tab

Un po’ di segnalazioni sparse, per chiudere alcune delle venti tab di Firefox che ho qui aperte, e con l’ulteriore intento di comunicare al mondo che questo blog è ancora in attività. Se già non l’avete tolto dai feed.

Tra le altre cose, sono giunta alla conclusione che nell’ottica di un’ecologia del pensiero, e per scongiurare l’insorgenza della drammatica sindrome del blogger tuttologo, è buona norma leggere diecimila parole per ogni parola che si scrive. Personalmente sto seguendo proprio questa filosofia, oltre alla mia solita regoletta aurea, che recita: “Non premere Invio se non hai la certezza che le tue parole possano tornare utili a qualcuno”. Donde la mia poca attività online in questo periodo, compresi i social network.

  • I Pride di quest’anno: Genova (Pride nazionale) il 27 giugno (vigilia del quarantennale di Stonewall), io e Remuz ci saremo; Milano… non si sa ancora quando, ma io e Remuz ci saremo; Roma 13 giugno.
  • Un’interessante riflessione sull’uso e l’abuso della pagina dei ringraziamenti nei libri. Non so voi, ma io quella pagina lì la trovo un’americanata pazzesca (locuzione da leggersi a mo’ di Fantozzi re. Corazzata Potëmkin), e noto con sgomento che si è diffusa anche tra gli autori italiani. Detesto tradurre quegli Aknowledgments imbevuti di retorica, e quando è capitato a me di scrivere un libro non ho inserito dediche né ringraziamenti. Lo trovo lezioso e sentimentale, suppongo che al lettore non interessi, e comunque preferisco ringraziare di persona. Credo che questa idiosincrasia mi sia venuta quando ho visto tesi di laurea dedicate alla mamma e all’amica del cuore “che mi ha aiutato a correggere la grammatica”. Doveroso ringraziare i colleghi e le persone che materialmente hanno contribuito alla stesura o alla revisione, o all’elaborazione delle idee; ma la mamma, vi prego, la mamma no.
  • Wu Ming 4 parla del valore dell’allegoria in Tolkien, dell’influsso dei temi cristiani sul SdA, delle “puerili” strumentalizzazioni politiche:

    La faccenda non era di poco conto per Tolkien, che non ha mai condiviso la scelta dell’amico C.S.Lewis, nella cui narrativa fantastica i personaggi ricalcano pedissequamente le figure evangeliche e le storie hanno un evidente intento apologetico. L’unica allegoria che Tolkien era disposto ad accettare era quella aperta, la cui universalità non è dovuta all’autorevolezza del messaggio a cui allude, bensì alla complessità e profondità del messaggio stesso di cui la storia si fa latrice.

  • Interviste a due grandi traduttori: la compianta Adriana Motti (Il giovane Holden) e l’immenso Vincenzo Mantovani (intervista in pdf), che ha tradotto di tutto e di più, da Roth a Bellow a Faulkner a Asimov a Crichton. Bello che entrambi, contro ogni regoletta da manuale, ribadiscano che leggersi tutto il libro prima di iniziare a tradurlo è *noioso*. Lo è, lo è; e se la prima lettura coincide con la prima stesura, poco male: il bravo traduttore fa tante riletture, e lì si accorge di tutto quello di cui si deve accorgere. (Cioè, Mantovani se ne accorge; io, boh. Speriamo.)

Kafka e le donnine

(Ovvero: roba che, se ci fosse ancora Cuore, andrebbe rubricata sotto “Chi se ne frega?”)

Ma se anche fosse vero che Kafka conservava in casa materiale pornografico, quale sarebbe il problema? Perché tanta ansia di sottolineare che non si tratta di pornografia hard core, ma di “rappresentazioni giocose, alcune in forma di caricatura”?

Cosa spinge l’establishment culturale britannico a tanta pruderie? (sì, la diatriba è tutta interna alla scholarship kafkiana britannica). Sarà che anche in UK a ferragosto bisogna tirar fuori storie di sesso, ma che essendo il Guardian un giornale serio, se proprio deve parlar di sesso preferisce metterci in mezzo la cultura?

Ma soprattutto, che ce ne importa? Vorreste dirmi che esiste uno scrittore famoso negli ultimi 2-3 secoli che NON abbia mai fatto uso di pornografia? No, aspetta, riformulo: vorreste dirmi che esiste un solo uomo che non ne abbia mai fatto uso?

E ovviamente (apro una parentesi) ciò vale anche per molte donne, solo che le donne rifiutano di ammetterlo: e la colpa può essere, alternativamente, del retaggio religioso oppure della stramaledetta crociata femminista contro la pornografia. Crociata che sinora non ha ottenuto altro risultato che di confinare il porno etero in un regno tutto maschile, in cui è perfettamente logico che la rappresentazione delle donne non sia realistica. E’ questione di domanda e offerta: quando le donne ammetteranno che è possibile riflettere in modo serio sulla questione; quando smetteranno di coprirsi gli occhi col prosciutto della “reificazione” e “mercificazione” e “degradazione” del corpo femminile; allora il mercato si accorgerà che la parità dei sessi è economicamente vantaggiosa. [Consiglio in proposito questa lettura.]

Detto ciò, i difensori della morale di Kafka – almeno stando all’articolo – sono quasi tutti maschi. Ma è curioso che accusino lo storico in questione di essere “bigotto” per il solo fatto di aver dimostrato l’esistenza di quel materiale porno (o semi-porno). Sono curiosa di leggere il suo libro per capire se davvero si tratta di facile sensazionalismo e una gretta trovata di marketing, oppure se per caso i bigotti non siano proprio gli altri storici, che sapevano dell’esistenza di quel materiale ma hanno scelto di non parlarne in nessuna biografia di Kafka. Perché, sai, non sta bene parlarne.

Dio solo sa cosa succederebbe se saltasse fuori della pornografia gay fra le carte di Proust. (O è già successo? non sono informata.)