Perseverare (virgola) diabolicum

Presentato il nuovo slogan per la campagna dell’Uaar sugli autobus genovesi. Sorvolerò sul triste fatto che la virgola tra soggetto e verbo sia rimasta dov’era.

Comunque, tirate le somme di tutta la faccenda, sappiate che alla fine ho rinnovato l’iscrizione all’Uaar anche per il 2009, e mi fa piacere sentire che in questi giorni stanno avendo un boom di nuovi soci. Condivido il novanta per cento di quel che fanno, pur continuando a nutrire riserve sulla vicenda degli autobus; e ovviamente, nonostante tutto, mi rammarico della censura in cui è incorsa la prima fase dell’iniziativa. Avrei preferito vedere sugli autobus lo slogan che pure non condividevo, piuttosto che assistere a questa desolante prova di italianità. Per fortuna si è giunti a un compromesso, anche se devo dire che il nuovo slogan non è particolarmente accattivante.

Spero soltanto che quest’anno gli sforzi dell’associazione, sostenuti anche dal mio piccolo contributo, vadano meno nella direzione di sterili diatribe teologiche,* e più nel merito della lotta all’ingerenza vaticana nella vita delle persone. Mi sembra importante ricordare che tra la nostra situazione e quella inglese o spagnola c’è una bella differenza; e se gli inglesi possono permettersi di scrivere frasi spiritose su un autobus, noi forse abbiamo questioni più pressanti di cui occuparci, anziché scimmiottare le iniziative altrui.

* (disse colei che aveva fatto la tesi di laurea sulla teologia morale e la spiritualità monastica del XII secolo.)

La cattiva notizia per l’UAAR

A me, che pure sono socio UAAR, questa faccenda dei bus atei a Genova convince poco.

Lo slogan è ben diverso da quello inglese, che recita: “There’s probably no God. Now stop worrying and enjoy your life”. In italiano manca il “probabilmente”, che fa un mondo di differenza in termini teorici, pratici e metodologici.

Messa così sembra proselitismo, in uno stile indistinguibile da quello di certe réclame cattoliche o dei testimoni di geova. E sembra spocchioso e saccente; mentre io non ci tengo a convincere nessuno che dio non esiste, perché non è questo il punto.

Messa così è una contrapposizione sterile tra “dio non esiste” e “dio esiste”, dogmatismo puro da ambo le parti che non sposta di una virgola le convinzioni personali di nessuno. Come io non sono toccata minimamente dai proclami papali per cui dio c’è e ci ama e amiamolo o andremo all’inferno (ed è così perché è così e basta), analogamente non riesco a immaginarmi un credente che legge questa roba sul bus e risponde qualcosa di diverso da: “E invece secondo me esiste”.

Ed è una contrapposizione ridicola, perché il partito del “no” è in palese inferiorità numerica (per un totale di n. 2 autobus urbani) rispetto allo schieramento opposto. Di che ci illudiamo? E’ una strategia suicida.

Il senso non è contrapporre l’ateismo alla religione come due fazioni in lotta, ma contrapporre il dubbio e il sano esercizio della razionalità al fideismo dogmatico e irrazionale.

Dubbio: ovvero, quel “probabilmente”. In sede etica si può essere atei quanto si vuole, e io lo sono completamente; ma in sede teoretica vige il principio di falsificabilità, e dovremmo essere noi i primi ad applicare il metodo scientifico: l’ateismo non può ergersi a dogma. Anche Margherita Hack, presidente onorario dell’UAAR e mio mito personale, l’altra sera da Fazio (prima parte | seconda parte) ha parlato con garbo della “natura divina” del bosone di Higgs, e di certo non se l’è sentita di annunciare al mondo cosa c’era prima del Big Bang. Anzi, ha lasciato uno spiraglio aperto a un dio “orologiaio” tipo quello dei deisti, che crea il mondo ma non interviene in esso. Allora qual è il dio che non esiste? Neppure quello di Einstein che non gioca a dadi? Neppure quello di Spinoza? Siamo sicuri che il dio di tutti gli italiani sia esattamente lo stesso che ha in mente il papa?

Peraltro, se rimaniamo sul terreno dell’agnosticismo con il “probabilmente”, è facile che molte più persone si riconoscano nello slogan. Buttarla sull’ateismo assolutista e militante è pericoloso, perché ci fa passare per dogmatici come e più dei preti, e perché genera un rifiuto “di pancia” nel 99% degli italiani, che il senso religioso l’hanno bevuto col latte materno.

E poi, in generale: non è mai utile uno slogan che dice “gli altri sbagliano”, è sempre meglio uno slogan propositivo, che affermi una verità senza bisogno di negarne esplicitamente un’altra.

Avrei trovato utile, al limite, una bella frase di un autore classico, che stimolasse la riflessione. A me piace questa, per esempio:

Quando faccio il bene, mi sento bene. Quando faccio il male, mi sento male. Questa è la mia religione. (Abramo Lincoln)

Ma soprattutto, porco cane, nello slogan c’è una virgola tra soggetto e verbo.

Religion is the smile on a dog

Torno a occuparmi di un tema che mi sta molto a cuore ma a cui, da quando mi sono trasferita sul nuovo blog, non ho più dedicato l’attenzione che merita.

LETTERA AUTOGRAFA DI ALFREDO ORMANDO AD UN AMICO:
Palermo, Natale 1997

Caro Adriano, quest’anno non sento più il Natale, mi è indifferente come tutte le cose; non c’è nulla che riesca a richiamarmi alla vita.

I miei preparativi per il suicidio procedono inesorabilmente; sento che questo è il mio destino, l’ho sempre saputo e mai accettato, ma questo destino tragico è là ad aspettarmi con una certosina pazienza che ha dell’incredibile.
Non sono riuscito a sottrarmi a questa idea di morte, sento che non posso evitarlo, tantomeno fare finta di vivere e progettare per un futuro che non avrò: il mio futuro non sarà altro che la prosecuzione del presente.

Vivo con la consapevolezza di chi sta per lasciare la vita terrena e ciò non mi fa orrore, anzi!, non vedo l’ora di porre fine ai miei giorni; penseranno che sia un pazzo perché ho deciso piazza San Pietro per darmi fuoco, mentre potevo farlo anche a Palermo.
Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa che demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l’omosessualità è sua figlia.

Alfredo

Il 13 gennaio 1998 Alfredo Ormando, intellettuale e poeta siciliano, si è dato fuoco in piazza San Pietro, in segno di protesta contro l’intolleranza e l’omofobia propugnate dalle gerarchie vaticane. Da allora, ogni anno l’Arcigay organizza a Roma, il 13 gennaio, un sit-in che è insieme commemorazione del sacrificio di Ormando e testimonianza della volontà di ricercare un dialogo costruttivo.

Sono passati dieci anni. E’ dunque fissata per domani la decima Giornata Mondiale per il Dialogo tra Religioni e Omosessualità. Alfredo Ormando verrà ricordato con il tradizionale sit-in in piazza Pio XII (di fronte a piazza San Pietro) e con un convegno dal titolo: “Liberaci dal Male: quis custodiet custodes?“.

Personalmente, non credo granché nella possibilità di avviare un dialogo con i preti. Né su questo tema, né sul tema della 194 che tanto infiamma gli animi in questi giorni. Ma forse conviene sempre tentare. Per chi volesse partecipare - io ci sarò con la mente e lo spirito, essendo a Milano - tutte le informazioni sono disponibili sul sito ufficiale.

Approfitto per ricordare che il Gay Pride di quest’anno si svolgerà a Bologna il 28 giugno.

La foto è di Remuz.

(*) titolo del post

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C’è del marcio a Calcutta

Allora gente, qui i casi sono due: o postate voi al posto mio, oppure lavorate al posto mio. In ambo i casi vi toccherà anche dormire al posto mio, perché qua si va avanti con quattro ore a notte da una settimana.

Se io avessi voglia, e tempo, a questo punto dovrei scrivere un post su Madre Teresa. Se avessi voglia e tempo direi che oggi ricorre il decennale della morte di colei la quale, alla cerimonia di consegna del Nobel, dichiarò che la più grande minaccia alla pace nel mondo era l’aborto (sic); e - sempre se avessi tempo - sottolinerei che Ruini ha scelto proprio questa ricorrenza per avvertirci, dall’alto della sua autorità morale (da esercitarsi sull’umanità tutta senza distinzione di credo) e della sua profonda cultura medica, che la legge sull’aborto va “aggiornata alla luce del progresso medico-scientifico”. Come, nello specifico, non lo dice: mettendo più suore nei consultori, immagino, e rendendo ancor più difficile procurarsi una pillola del giorno dopo in tempo utile, cioè entro 72 ore.

Ma non ho tempo. Se l’avessi, scriverei un lungo post su questo breve ma denso libro. Poiché il tempo è tiranno, mi limito a citarne un brano, e vi invito a leggere il resto. Scrive Hitchens:

Quando mi hanno chiesto se sapessi qualcosa del suo lavoro tra i poveri, se l’avessi mai conosciuta, ho risposto che avevo camminato con lei per Calcutta e che ero arrivato alla conclusione che fosse non tanto un’amica dei poveri quanto un’amica della povertà. Lodava la povertà, la malattia e la sofferenza come doni dall’alto, e diceva alle persone di accettare questi doni con gioia. Era adamantinamente contraria alla sola politica che abbia mai alleviato la povertà in tutte le nazioni - e cioè dare potere alle donne ed estendere il loro controllo sulla propria fertilità. La sua celebre clinica di Calcutta in realtà non era che un ospizio primitivo, un posto dove la gente andava a morire, un luogo dove le cure mediche erano poche, quando non addirittura inesistenti (quando fu lei ad ammalarsi, volò in prima classe alla volta di una clinica privata in California). Le grandi somme di denaro raccolte venivano spese per la maggior parte nella costruzione di conventi in suo onore. Aveva fatto amicizia con tutta una serie di ricchi truffatori e sfruttatori, da Charles Lincoln della Lincoln Savings&Loans, alla ripugnante dinastia Duvalier di Haiti, accettando da entrambi generose donazioni di denaro che in realtà era stato rubato ai poveri.

E se potessi direi anche due paroline a proposito dell’udienza ratzingeriana di oggi, in cui J.R. ha riassunto la missione di Madre Teresa come segue: “Servire sempre fedelmente Dio nei più poveri e bisognosi”. E mi piacerebbe spiegarvi, con dovizia di citazioni da sant’Agostino (frui e uti eccetera), in che senso costei sfruttava i poveri come strumento per la maggior gloria di Dio. E poi allargherei il discorso e vi chiederei: è meglio un ateo che ama il suo prossimo semplicemente perché è il suo prossimo, perché è una persona singola, con la sua irripetibile scintilla di umanità; oppure è meglio una missionaria che nella massa indistinta dei “poveri” vede solo uno strumento da “usare” (sempre in senso agostiniano) per poi “fruire” di Dio nell’altra vita? E a questo punto, già che ci sono, citerei pure Kant, l’uomo come fine e non come mezzo.

Ma non ho tempo. Non ho tempo. Lasciatemi lavorare. Non in commotione Dominus.

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Boy, you’ve been a naughty girl, you let your knickers down

Buongiorno. Sono la vostra amica ebraico/massonica-radical-chic. (Sì, ora alcune logge massoniche ammettono le donne. E io provengo da una delle città a più elevata densità massonica d’Italia. Che dite, ci faccio un pensierino? Sarei in buona compagnia, col dott. Cav. tessera numero 625.)

Devo constatare che questo blog ha imboccato una brutta china.

Chi mi segue dal vecchio blog non si sarà ancora abituato al coefficiente di fuffa che produco nelle ultime settimane. Sarà il trasloco su Wordpress che mi fa quest’effetto. Fatto sta che oggi ci tocca tornare a occuparci di cose serie. E’ ora che questo blog recuperi la sua onorata tradizione di militanza politica e impegno laicista.

E quale modo migliore dell’assist gentilmente offertoci da un’esponente - speriamo non rappresentativa della maggioranza - del mondo cattolico apostolico romano?

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