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Il marketing editoriale: “Come ti vendo un libro” (Milano, 11 maggio 2009)

“Quello che i critici scrivono non determina affatto la qualità del libro. E’ la storia che la determina: bisogna aspettare che siano morti l’autore, i critici, gli editori. Quando tutto è sedimentato si va a vedere cosa valeva e cosa non valeva, non prima. Non possiamo fidarci del parere di quattro signori per stabilire che cos’è qualitativo, le pare?”
– Gian Arturo Ferrari

Si è svolto ieri pomeriggio a Milano, presso il Circolo della Stampa in Corso Venezia, l’incontro “Come ti vendo un libro: Meccanismi, segreti e bugie del marketing editoriale”. Sono intervenuti:

  • Gian Arturo Ferrari (direttore generale della divisione Libri del gruppo Mondadori)
  • Emilia Lodigiani (direttore editoriale Iperborea)
  • Gianni Biondillo, scrittore
  • Paolo Mauri (la Repubblica)
  • Stefano Bartezzaghi (sappiamo tutti chi è)
  • moderatore: Enrico Regazzoni (direttore Istituto per la formazione al giornalismo)

Ho preso qualche appunto, che riporto qui sotto in forma di agevole elenco puntato, nel caso interessi a qualcheduno.

Sul sito dell’IFG trovate i pdf dell’inchiesta sul marketing editoriale: interessante soprattutto l’intervista a Ferrari.

  • Lo scrittore è influenzato dalle ipotesi sulla vendibilità del libro che sta scrivendo? Biondillo risponde: se pubblichi è perché vuoi essere letto, non prendiamoci in giro. Il lettore non è stupido, il “lettore forte” sa riconoscere il buon libro, per quanto l’editore cerchi di propinargli roba che non vale niente. Biondillo era (ed è) un architetto, non conosceva nessuno nel mondo editoriale; un’amica gli ha detto che il suo libro valeva, e l’ha portato personalmente in Guanda: due settimane dopo il direttore, Brioschi, ha telefonato a Biondillo per proporgli la pubblicazione. “Una botta di culo clamorosa” commenta lui. I lettori sono molto precisi e attenti, contestano all’autore financo l’uso dei tempi verbali. L’autore deve rispettare i lettori che scelgono di dedicare il proprio tempo al suo libro anziché fare cose più divertenti, come fare sesso o andare al mare. Anche scrivere libri astuti e furbi è un’arte, ma non esistono formule bell’e pronte per i bestseller, i mezzucci non pagano. Lo scrittore non deve muoversi dal suo “stato di verità”, cioè deve essere sincero con se stesso e scrivere ciò che vuole, poi in qualche modo troverà i suoi lettori.

  • Paolo Mauri: La distribuzione è ancora una fase problematica della filiera editoriale; Zavattini sognava di mettere i suoi libri in un sacco e andare di casa in casa come la Befana per distribuirli ai lettori.
  • Gian Arturo Ferrari: Ciò che è reale è razionale? Ovvero, se un libro vende due milioni di copie, significa che è un libro di qualità? (sottile provocazione.) No: l’editoria libraria è un prodotto della civiltà moderna – prima il libro era oggetto raro e prezioso – che ha consentito alla modernità di costituirsi, ha diffuso il sapere. Quindi l’editoria moderna è strutturalmente legata alla categoria della quantità, che è ciò che la distingue dal libro antico e medievale. Manuzio, Erasmo e Bembo hanno inventato l’editoria moderna: portare i libri a più persone possibile. Così è nato anche lo scrittore di professione, che esiste nella misura in cui esiste gente che gli compra i libri, consentendogli di campare di questo senza dover vivere a corte o avere un mecenate. Oggi in Italia sono rari gli scrittori di professione: perlopiù a scrivere libri sono giornalisti o professori.
  • La situazione attuale secondo Ferrari: non si pubblicano troppi libri, le novità sono proporzionali alla popolazione di ogni Paese. L’abbandono della lettura negli anni dell’adolescenza è un problema meno grave di un tempo, perché oggi si pubblica molto nel settore “Young Adults” (basti pensare alla Meyer). I veri problemi di oggi sono: (1) La barriera linguistica, per cui il bacino potenziale di lettori degli editori italiani non supera i 60 milioni, e (2) una cultura elitaria, per cui secondo qualcuno è bene che leggano in pochi. In Italia leggono solo 4 milioni di persone (lettori abituali): ma sono lettori “voraci, robusti, erculei”: da soli “tengono su la baracca”. Regazzoni ribatte: “Sono contento per la baracca, ma mi preoccupo un po’ per la società civile”.
  • Emilia Lodigiani: la Iperborea, che non può spendere in marketing e pubblicità, punta molto sull’identità della casa editrice (Iperborea pubblica solo autori nordeuropei), sulla forte riconoscibilità da parte dei lettori. Lodigiani dissente in parte da Ferrari: la barriera è più culturale che linguistica, dice; i paesi nordici sono terra di lettori fortissimi, anche se le lingue sono ancor più minoritarie dell’italiano. La barriera linguistica è un concetto opinabile: in Svezia ci sono 9 milioni di abitanti, e alcuni bestseller hanno venduto 2 milioni di copie. In Italia nasce e muore una casa editrice ogni tre giorni: pubblicare non è difficile, il difficile è vendere. Il marketing è indispensabile. Per la Iperborea questo significa: grafica di copertina e formato 10×20 riconoscibilissimi, comunicazione diretta col lettore attraverso l’opinione dell’editore espressa in quarta di copertina, illustrazioni di copertina coerenti con il contenuto e opera di artisti nordeuropei. Tiratura media Iperborea: 3-4000 per un nuovo autore, 2000 per i classici, Arto Paasilinna è partito con 10.000 copie (ne ha vendute 100.000).
  • Bartezzaghi: 4 milioni sono i lettori di libri, 5 milioni le copie dei quotidiani: sono probabilmente le stesse persone. Al lettore colto arrivano le suggestioni sottili del marketing, anche qualcosa in tv (gli autori che vanno da Fazio, soprattutto). Dal punto di vista di Bartezzaghi autore: il libro, quando hai finito di scriverlo e lo vedi in bozze, ti diventa estraneo, come se l’avessi gettato in mare, non ti sembra più opera tua, sparisce in un gorgo di letture altrui. Il libro è una merce (quindi ha bisogno di marketing) ma è una merce speciale (ha bisogno di marketing speciale). Il marketing è tautologico: dà al lettore quel che il lettore vuole, mentre i libri migliori sono quelli che stupiscono. Vedi per esempio Saviano e Giordano, megaseller di autori esordienti: se davvero la Mondadori fosse solo marketing, forse quei due libri non sarebbero stati pubblicati: certo, erano promettenti, ma nessuno poteva immaginare questi risultati di vendita. Regazzoni chiede: “Ma quanto avrebbero venduto Saviano e Giordano con un piccolo editore?” Bartezzaghi: “Certo, ma lì il lavoro di mktg è iniziato dopo che il libro aveva già cominciato a camminare con le proprie gambe.”
  • Ferrari: il mktg si fa solo per i paperback, perché l’editoria è un’operazione alla cieca. Non c’è la fase di Ricerca&Sviluppo, perché costa meno pubblicare direttamente i libri e andare per tentativi, vedere quali vendono e quali no. Solo il 20% poi finisce in paperback e quindi in catalogo. A Ferrari è capitato solo una decina di volte di prevedere un grande successo leggendo le bozze prima della pubblicazione. In ogni caso, la prima edizione di Gomorra aveva una tiratura di 4500 copie (alla fine ne ha vendute 2 milioni). La tendenza è a puntare sul singolo titolo o autore, non sul marchio dell’editore (quindi sì, Saviano e Giordano avrebbero venduto anche con un editore piccolo): altrimenti i librai non avrebbero esposto in bella vista L’eleganza del riccio o Twilight, pubblicati da editori minori, quando hanno iniziato a vendere molto grazie al passaparola.
  • Biondillo: Bisogna sfatare i luoghi comuni snob: che “piccolo è bello”, che “il bestseller è il Male”. Il tempo è galantuomo, è difficile recensire libri appena usciti, il mercato alla fine premia i buoni libri (come ha detto il grande critico Angelo Guglielmi: “Non esistono capolavori nascosti: se un libro vale, alla fine si impone”). Altro luogo comune elitista (o “etilista”): la diffidenza verso Internet, dove si fa cultura ben più che sui quotidiani, le cui pagine culturali spesso paiono ferme al 1956 e sono piene di marchette. Saviano per esempio scriveva (e scrive) su Nazione Indiana. Il problema non sono gli adolescenti che non leggono: secondo un sondaggio, un dirigente d’azienda francese legge in media 50 libri/anno, un dirigente italiano ne legge 7/8.
  • Mauri: In realtà la tv può fare poco. Cosa accadrebbe però se gli sceneggiatori del Grande Fratello inserissero un libro nella casa? Come reagirebbero i concorrenti? Forse vale la pena di provarci…
  • Sul tema di Internet, Bartezzaghi aggiunge però che non va sottovalutato il problema di come valutare l’attendibilità e la fondatezza delle recensioni che circolano in rete. Circola molto risentimento, ma non si può dire pubblicamente una cosa del genere perché si passa per snob.
  • Ferrari, sugli esordienti: In Mondadori leggono ogni singolo manoscritto che arriva, rispondono a tutti e restituiscono i manoscritti, a differenza degli altri editori. Questo perché Arnoldo Mondadori diceva: ogni aspirante scrittore è già un nostro lettore, e non dobbiamo alienare i nostri lettori. Almeno un grande bestseller è nato così, dalla pila dei manoscritti non richiesti: Io speriamo che me la cavo di Marcello D’Orta. La stessa politica vale in Iperborea, dice la Lodigiani: rispondono gentilmente a tutti, facendo osservare che loro pubblicano solo autori stranieri…
  • Biondillo: la tv potrebbe essere usata proficuamente come strumento di marketing rivolto soprattutto ai lettori deboli e potenziali: il che farebbe un gran bene anche alla tv. L’importante è riproporre il libro come oggetto familiare, domestico, accessibile, spogliandolo dalla sua patina di sacralità. (Mauri: “In nessuna fiction televisiva ho mai visto un personaggio che legge un libro”.) Ferrari ribatte che si parla già di libri in tv due volte alla settimana, in prima serata: Fazio praticamente non parla d’altro. Ma questa è promozione della vendita di libri, non della lettura. Quel che bisogna fare è allargare il bacino dei lettori bambini, che diventeranno lettori adulti. La Lodigiani ricorda che in Danimarca ogni bambino che compie due anni viene iscritto automaticamente alla biblioteca di quartiere, e a scuola si passano intere mattinate a leggere: i bambini possono scegliere i libri da soli, e nessuno li interrogherà poi su ciò che hanno letto: lo scopo è stimolare il puro piacere della lettura.
  • Tutti concordi: i booktrailer non servono assolutamente a niente. La Lodigiani ne ha tre sul sito di Iperborea, e non sono serviti a nulla.

5 Commenti a “Il marketing editoriale: “Come ti vendo un libro” (Milano, 11 maggio 2009)”

  1. close to me dice:

    I booktrailer sono la deriva dell’idea che la comunicazione può essere solo visiva, meglio se video.

    Per quel che mi riguarda, quando scelgo un libro “a caso” in libreria, evito la quarta di copertina e leggo qua e là per farmi un’idea se è almeno un tipo di scrittura che può piacermi.
    Sono stanca degli “imperdibili” ” il lettore resterà affascinato” “a manon a mano scopriremo” e “gioco di specchi”… sinceramente vorrei tornare alla limitatezza di analisi delle elementari: il libro mi è piaciuto perchè è bello.


  2. Ilaria dice:

    Infatti credo fosse la Lodigiani che a un certo punto ha detto: in quarte e bandelle bisogna evitare sempre la parola “capolavoro”, tanto non ci crede nessuno comunque.


  3. Denisocka dice:

    Davvero interessante, Ilaria. Grazie per il resoconto.
    Resto sempre un po’ basita davanti a queste affermazioni che spingono a credere che la qualità conti molto nelle scelte di pubblicazione. Purtroppo non è sempre così. Spesso si fatica molto a convincere gli editori a pubblicare “alta letteratura”.


  4. clumsy dice:

    leggo con molto piacere, poi tornerò, tempo permettendo.
    grazie


  5. Ivan dice:

    Grazie 1000 x l’esaustivo resoconto.
    E’ un argomento a cui mi sto avvicinando da poco ma con sempre maggior interesse. Venire a conoscenza di illustri opinioni in un’occasione ufficiale è una valida delucidazione. Interessante!


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  • .mau.

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