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Del prendersi maledettamente sul serio

*Attenzione attenzione* - Siccome non so esprimermi chiaramente in italiano (il che mi preoccupa, visto il mestiere che faccio), mi si fa notare nei commenti che non è emerso appieno il carattere del tutto personale delle opinioni riportate in questo post. Quindi ci metto questo bel disclaimer, prima che arrivino altri a commentare: questo post riporta le mie opinioni soggettive su un libro che ho letto, e non è da intendersi come critica ad personam agli autori del medesimo. Il post è inoltre permeato da un sottile velo d’ironia; ma siccome io non ho colto l’ironia di alcuni capitoli del libro (così mi si dice), mi pare un giusto contrappasso che voi non abbiate colto la mia.

(La prossima volta che leggerò una recensione negativa del mio libro, vedrò di arrabbiarmi pure io: sembra divertente!)

***


Volevo scrivere un commento su questo libro per aNobii, ma si è allungato oltremodo; quindi lo metto qui, tanto per far sapere che sono ancora viva (non postavo da un mese).

Il libro è questo, Il mestiere di riflettere. Storie di traduttori e traduzioni.

Dice il risvolto:

“Traduttore, traditore, recita un vecchio adagio. Noi traduttori non ci sentiamo affatto traditori, però. Semmai traditi, delle volte. Dietro buona parte dei libri che fanno bella mostra di sé nelle vetrine e sugli scaffali delle librerie ci siamo noi: noi con il nostro lavoro quotidiano, col nostro fare talvolta la guerra e talvolta l’amore con il romanzo di turno. Già, perché la nostra è una vita agrodolce, una vita segnata dall’invisibilità, condizione che a volte ci sta a pennello e altre volte ci sta un po’ stretta. Bene che ci vada, siamo un nome che fa capolino da un frontespizio. Questa è una raccolta di racconti, di storie: storie di traduzioni ma soprattutto storie di traduttori. Perché tra queste pagine, tra queste righe c’è il nostro lavoro, c’è la nostra vita, ci siamo noi.” A partire da un romanzo, da un’esperienza di traduzione, alcuni tra i più brillanti e noti traduttori italiani ci raccontano storie di lavoro, di passione, ma anche – e soprattutto – di vita.

(Mica cotiche.)

Dico io:

Ci sono alcune belle istantanee di vita quotidiana del traduttore. Ho trovato interessanti soprattutto i reportage sulle traduzioni a più mani: io faccio questo mestiere appunto per poter avere meno contatti possibile con altri esponenti della specie homo sapiens, quindi trovo difficile capire come si possa lavorare dovendosi confrontare continuamente con un altro. E ci sono alcuni succosi aneddoti sulla risoluzione di giochi di parole, l’eterna croce del traduttore.

Però.

Sono ancora dell’idea che molti miei colleghi nutrano un’opinione ridicolmente elevata circa la natura “artistica” del proprio lavoro e il trasporto passional-esistenziale necessario per svolgerlo al meglio.

Non so ai non traduttori, che invito a palesarsi nei commenti, ma a me fanno ridere frasi del tipo: “[La traduzione è] una via d’accesso al mistero… [che è] proprio l’essenza del nostro dilemma quotidiano e della nostra quotidiana estasi”; oppure: “Tradurre è anche un viaggio dentro se stessi”, oppure: “La dimensione etica del raccogliersi e dello scrivere. Del raccogliersi per scrivere. Del tradurre.”

A me paiono degli invasati. Alcuni eh, mica tutti. Signori, e soprattutto signore, ficcatevelo in testa:

1) Non siete scrittori, non siete artisti, non siete sacerdoti di culti esoterici.
2) Tanti redattori sono più artisti di voi. E sapete quanto guadagna il redattore precario che rivede la vostra traduzione e corregge i vostri erroracci (e i miei)?
3) (corollario del precedente) Smettetela una buona volta di frignare che la vita è agra, e che le cartelle da duemila battute son tante, e che vi pagano poco: l’editoria è piena di gente che guadagna meno di voi.
4) (corollario globale totale) Ripigliatevi.

Io, quando sono alla scrivania, non faccio viaggi dentro di me; cerco solo di guadagnarmi dignitosamente la pagnotta. Venti-venticinque cartelle al dì da tre anni, quattro o cinque riletture a fondo per ogni libro, sano artigianato editoriale. E, vivaddio, non è mia abitudine fare l’amore con i romanzi.

(Questo discorso è valido almeno per altri tre o quattro libri sul “punto di vista del povero traduttore” che ho letto di recente. E per tanta gente che gira su Biblit, su Proz e in altri rifugi utili a darsi reciproche pacche sulle spalle, atteggiandosi a intellettuali incompresi.)

(E qualcuno spieghi al redattore di questo libro che i trattini degli incisi sono medi, e preceduti e seguiti da uno spazio.)

E per favore – qui mi rivolgo alle due co-traduttrici di Eclipse, la cui spocchia sembra non avere confini – prendete meno per il culo le fan di Twilight: vi danno il pane. Ve lo dice una che di certo non le ama alla follia. Ma mi danno il pane (un tozzo qui un tozzo là, via), e non mi piace sputare nel piatto in cui mangio. Anch’io ho tradotto romanzi di genere, e saggi quantomeno discutibili; e mi hanno insegnato molti trucchi del mestiere, a volte più dei romanzi “letterari”. Umiltà, ci vuole.

41 Commenti a “Del prendersi maledettamente sul serio”

  1. Sandra dice:

    20-25 cartelle al giorno? Vita privata zero immagino. Complimenti. Io in media non vado oltre le 10-12, se includo anche la revisione (cioè, sono capace anch’io di “digitare” 20-25 cartelle in un giorno, ma di traduzione grezza, su cui poi devo tornare con almeno due riletture-revisioni: come li conti quei giorni, produzione zero cartelle?).
    Posso esser d’accordo su alcune osservazioni, sulla necessità di prendersi non troppo sul serio, sull’umiltà indispensabile a svolgere bene il nostro lavoro.
    Ma forse (e sottolineo forse) si potrebbe evitare di fare la figura del bue che dà del cornuto all’asino, soprattutto sul capitolo umiltà. Il tuo post distilla veleno nei confronti di colleghi che forse non conosci.
    Io non ho partecipato al libro, ma ne ho letti alcuni capitoli da cui traggo utili lezioni per la mia professione. Ecco, un pizzico di umiltà, nel riconoscere che magari nemmeno tu sei ancora “arrivata”, soprattutto di fronte a colleghi più anziani che si sbattono in questo mondo da parecchi anni più di te, non stonerebbe.
    Sul tuo commento vergognoso relativamente al fatto che in editoria c’è chi guadagna meno, dico solo che la mia idea è che tutti dovrebbero aver diritto a un lavoro dignitoso e a un compenso all’altezza del loro lavoro. Compresi quelli che guadagnano meno di me. Non se ne può fare una giustificazione per accettare tariffe offensive e pagamenti in perpetuo e ingiustificato ritardo. Se tu vuoi fare così, fai pure. Ma per favore, non farne una bandiera. Resta pure chiusa nel tuo mondo senza contatti col prossimo, cosa che mostri di apprezzare moltissimo.


  2. chiaradavinci dice:

    Carissima Ilaria,

    sono una delle spocchiose senza confini cui fai riferimento.

    Mi dispiace che tu non sia venuta nemmeno a una delle presentazioni del “Mestiere di riflettere”, perché forse lì avresti capito il senso del nostro articolo, che, a quanto pare, leggendo il libro non hai colto.

    L’intervento voleva parodiare il romanzo che abbiamo tradotto, il modo di pensare dei personaggi, il loro linguaggio, proprio perché volevamo dire quello che hai detto tu nella prima parte di questo post: che i traduttori letterari si prendono troppo sul serio. E l’abbiamo fatto con ironia, prendendo in giro prima di tutto noi stesse, che guarda caso alla fine del pezzo ci trasformiamo in vampiro e lupo mannaro.

    Ho aperto i miei due interventi a Urbino dicendo che secondo me questo mestiere è sopravvalutato, che bisogna smettere di credersi degli dei perché si traduce letteratura, visto che la letteratura è anche questo: Eclipse, cioè libri brutti. E ho proseguito dicendo che spesso le traduzioni editoriali di cui vivo (in genere traduco libri d’arte per case editrici straniere) mi danno molta più soddisfazione di quanta non me ne abbia data tradurre Eclipse - che tu forse hai apprezzato, ma che per me, ripeto, è un libro brutto - anche dal punto di vista economico.

    So quanto guadagnano un revisore e un correttore di bozze, perché faccio anche quello. Però se il revisore e il correttore sono pagati poco, non vuol dire che il traduttore è pagato troppo. E’ sbagliato piangersi addosso (e anch’io sabato a Pisa ho detto che basta lamentarsi, perché mica andiamo in miniera, né in fonderia e ho detto anche che non mi vergogno mai, MAI, di tradurre roba brutta, perché è lavoro ed è pur sempre un atto dignitoso), però è anche sbagliato dire che veniamo pagati il giusto per tradurre letteratura, perché non è affatto così. Guarda semplicemente le tariffe dei colleghi tedeschi o francesi e capisci che non siamo pagati affatto giustamente. Né noi traduttori, né noi revisori, né noi correttori di bozze.

    Tu dici che molti romanzi di genere ti hanno insegnato molti trucchi del menstiere, io prima di questo libro ho tradotto molto, ho imparato parecchio, ma dalla traduzione di questo romanzo non ho imparato nulla. Nulla. Solo a rispettare molto i miei colleghi. Perché se ti capiterà mai di tradurre un libro a più mani, capirai che per farlo ci vuol molta, molta umiltà. E mi sembra che lo abbiamo sottolineato più volte persino nel saggio stesso.

    Poi, se avessi letto bene il nostro intervento, avresti capito che non ce l’abbiamo né con il genere in sé (presentando il libro ho anche detto che è proprio grazie alla saga di Twilight che Fazi può permettersi di pubblicare Pahor, Emiliano Gucci e Clara Nubile), né con i lettori attenti di Eclipse, con i quali tra l’altro abbiamo avuto dei begli incontri a Roma, ma con i lettori superficiali, che credo diano fastidio a tutti: scrittori, traduttori, revisori e correttori. Quelli che si fissano sul numero delle pagine dei due libri, convinti che in italiano abbiamo tagliato dei pezzi, mentre invece è solo un problema di impaginazione, quelli che si lamentano del fatto che abbiamo tradotto il libro in tre senza sapere che in realtà un traduttore da solo in tre settimane non ce l’avrebbe mai fatta, quelli che non capiscono che se il libro a loro in fondo è piaciuto è anche merito nostro perché, diciamocelo, l’originale dal punto di vista stilistico (e mi riferisco solo al tezo volume della saga) lasciava molto a desiderare.

    Ma, scusami tanto, anche quelli che scambiano l’ironia (in realtà riconosciuta e apprezzata da moltissimi lettori del “Mestiere di riflettere”) per spocchia, dimostrando forse di non aver letto il libro in totale buonafede.


  3. Ilaria dice:

    Rispetto le vostre opinioni, ma quella è l’impressione che ne ho avuto io. E purtroppo anche altre persone. Sono felice che l’intento fosse ironico, ma forse non traspare molto. O forse non l’ho notato io, che devo dire.

    Di umiltà ne ho fin troppa: sono consapevole di non saper (ancora) tradurre, di guadagnare in modo dignitoso vista la giovane età e la poca esperienza, di non aver mai parlato male di un libro che ho tradotto. Se poi vi sentite punti sul vivo, mi spiace.

    Quanto al “non conoscere” le persone di cui parlo: solito discorso, io commento ciò che ho letto, non la totalità delle “persone” che l’hanno scritto.


  4. Ilaria dice:

    Ah, per rispondere a Sandra: in prima stesura sì, faccio anche 30 cartelle al giorno, ovviamente in un italiano penoso. Seguono cinque o sei riletture spietate. Di vita privata ne ho più che a sufficienza, grazie Trenta cartelle le butto giù in otto ore al massimo.


  5. Dante A. Ristori dice:

    >3) (corollario del precedente) Smettetela una buona volta di frignare che >la vita è agra, e che le cartelle da duemila battute son tante, e che vi >pagano poco: l’editoria è piena di gente che guadagna meno di voi.

    Se qualcuno me l’avesse detto a voce giuro che, incredulo, glielo avrei fatto ripetere tre volte. Ma visto che lo trovo scritto, non posso esimermi dal rispondere:
    E allora? Se scopro che c’è qualcuno che guadagna meno di me, devo smetterla di fare le mie giuste rivendicazioni? Ma che razza di ragionamento è?
    Che i redattori si organizzino e si coalizzino coi traduttori per condizioni di lavoro migliori. Non siamo su sponde avverse.
    Andrea


  6. Ilaria dice:

    Naturalmente mi attendevo una levata di scudi da parte della “categoria”, il che, a mio avviso, non fa che confermare quel che vado dicendo. Continuo a dire che non mi sembrerebbe equo, in questa fase della carriera, guadagnare più di quanto guadagno. Mi sembra giusto invece che traduttori più anziani e con più esperienza debbano essere pagati di più.

    Il mio discorso era: ho fatto anche la redattrice, e lavoravo di più, mi incavolavo di più e avevo più responsabilità: e guadagnavo meno di adesso. Quindi, mi sento più vicina alle rivendicazioni dei redattori (il posto fisso, idealmente, e uno stipendio decente) che non a quelle dei traduttori, categoria di cui pure faccio parte.


  7. .mau. dice:

    Da traduttore molto dilettante posso dire che tradurre bene un bel libro è una sfida, ma è chiaro che comunque la maggior parte del merito va allo scrittore, e il traduttore è un (bravo, si spera) “scroccatore”: il che non significa ovviamente che non valga nulla.
    E tanto di cappello ai redattori con cui ho avuto a che fare (nonostante le tre riletture post traduzione per sgrezzare quel pessimo italiano che usciva fuori al primo colpo)
    I trattini, però, mi sa siano una fisima dell’editore: a noi tutti gli en-dash sono stati ridotti.


  8. Flores dice:

    Cavoli, prima dici che non bisogna prendersi troppo sul serio, e poi a chi non si prende troppo sul serio lo chiami spocchioso…un po’ contraddittorio?!?!?


  9. Ilaria dice:

    Dici, mau? Io non avevo mai visto -trattini così- (brevi e attaccati alle parole); al massimo nei libri americani sono em-dash, cioè quelli più lunghi, e lì sì sono attaccati alle parole.

    Flores, non ti seguo… “non prendersi sul serio” nel senso dell’ironia? Ripeto che non ho proprio colto l’ironia in quelle pagine, mi sono sembrate di cattivo gusto, tutto qua. Scrivere in un libro parlando male di un altro lavoro che mi è stato assegnato… io non lo farei mai, ma ognuno è liberissimo di fare come meglio crede.


  10. federica dice:

    cara ilaria, tu dici “Io, quando sono alla scrivania, non faccio viaggi dentro di me; cerco solo di guadagnarmi dignitosamente la pagnotta.” non c’è niente di male nel fare il proprio lavoro dignitosamente. ma è più bello quando il lavoro ci permette di arricchirci interiormente. e questo non capita solo con la traduzione, ma con qualsiasi mestiere che si ama davvero. a pisa, dove sono intervenuta, citavo un episodio di un autista di autobus che diceva di essere felice perché amava tantissimo il suo lavoro. io e lui siamo due persone fortunate perché amiamo quello che facciamo e siamo felici. non c’è nulla di serioso o spocchioso o pseudoartistico o sacerdotale in questo, direi proprio.
    il lavoro di redattori l’abbiamo fatto e lo facciamo ancora un po’ tutti noi traduttori e sappiamo quanto poco sia pagato e d’accordo, se pensi che la causa dei redattori meriti di essere difesa a voce ancora più alta fallo pure e sono con te, ma non capisco la contrapposizione con la causa dei traduttori.
    criticare gli altri (persone, categorie, ecc) è un nostro diritto inalienabile. ma non ci fa apparire automaticamente più belli o più giusti.


  11. .mau. dice:

    i trattini che ci siamo trovati noi sono staccati dalle parole (per fortuna) ma sicuramente molto più corti di quelli originali. Ho ricontrollato: direi che nell’edizione italiana sono en-dash, mentre l’originale aveva sicuramente degli em-dash.


  12. Ilaria dice:

    Ecco, qui mi tocca rifarmi al post precedente, già linkato nel post di oggi: a me non piace ragionare in termini di passione/amore per il lavoro che si fa. Personalmente non associo i concetti di “lavoro” e “passione”, e non perché il mio lavoro non mi piaccia, ma soltanto perché ho un carattere molto freddo e non mi ritrovo affatto nell’approccio un po’ lirico e sentimentale di molti traduttori.

    Mi fanno un po’ ridere quei discorsi perché mi sembrano pomposi, e forse cerco arricchimento interiore in altre letture e in altre esperienze (non lo so, non rifletto molto su queste cose). Avrei potuto essere più diplomatica, ma non è nel mio stile. Era inevitabile che qualcuno se la prendesse, ma ribadisco la mia opinione nel rispetto delle opinioni altrui.


  13. Ilaria dice:

    Mau: è giusto così, in italiano i trattini sono medi (en) e staccati: appunto dicevo, in questo libro sono brevi e attaccati da un lato solo. In inglese si usano medio-lunghi (em) e attaccati da ambo le parti.


  14. Ilaria dice:

    (parliamo di incisi, ovviamente, non trattini di congiunzione fra parole eccetera)


  15. chiara dice:

    Ciao Ilaria,
    intervengo brevemente.

    Tu scrivi:

    «(E qualcuno spieghi al redattore di questo libro che i trattini degli incisi sono medi, e preceduti e seguiti da uno spazio.)»

    Da brava professionista, saprai che ogni casa editrice ha le proprie norme redazionali. Ebbene, a quelle si è adeguata la redattrice.


  16. Ilaria dice:

    Sì, abbiamo già parlato dei trattini, e ripeto che non avevo mai visto una norma editoriale simile. Lacuna mia, senza dubbio. Poiché però nessun manuale di stile in mio possesso prevede la possibilità di usare i trattini senza spazi, mi è parso quantomeno curioso. Riformulo: qualcuno lo dica all’editore


  17. Sandra dice:

    Ilaria, perché non ti appelli una volta tanto all’umiltà che affermi di praticare? Non c’è niente di male, sai, a riconoscere che gli altri possono offrirti degli spunti di riflessione che potrebbero (ipoteticamente, un giorno futuro, se debitamente approfonditi) portarti anche a cambiare qualche idea. Difendi l’indifendibile. Se pensi di guadagnare bene perché tanto sei ancora giovane, e che le rivendicazioni si fanno solo quando si diventa grandi, sappi che con questa mentalità fra qualche anno guadagnerai ancor meno di oggi, magari lavorando di più. E, perdonami, non è un peccato di cui vergognarsi quello di essere “categoria”. Anzi, dirò di più, in quest’epoca di “mors tua vita mea” per me la solidarietè fra colleghi è ancora un valore.
    Infine: lavorare con passione è un privilegio e per molti di noi è l’unica ragione per continuare a fare una professione oggettivamente poco valorizzata dal punto di vista economico, pur avendo le competenze e l’esperienza per dedicarsi ad altro.
    Che tu stessa ti neghi questo privilegio in nome di un carattere molto freddo (di cui sembri vantarti) mi pare un vero peccato. Non sai cosa ti perdi.


  18. Anna dice:

    Scrive sdegnata e indegnata Ilaria: “Umiltà, ci vuole”. Risponde tristemente divertita (e l’ossimoro è solo apparente) Anna: “Appunto, Ilaria. Appunto”. E aggiunge: “Tanto per cominciare potresti rileggerti i periodi da cui le tue citazioni sono estratte e provare a interpretarli correttamente, che ne dici? Così magari ti accorgi di quanto, in preda alla supponenza, ne hai manipolato e/o travisato il senso. Dopodiché sul piano umano, dunque in generale, mi pare che la strada della crescita per te sia ancora lunga. Ma finché c’è vita c’è speranza. Buon viaggio, allora”.


  19. Ilaria dice:

    E’ curioso che io abbia fatto notare i pro e i contro di questo libro (sempre IMHO ovviamente), e poi mi vengano contestati solo i contro. Più che dire “non so tradurre e non ho quasi esperienza”, non so che genere di umiltà dovrei praticare. A me quelle frasi, lette nel contesto, non sono piaciute, perché le trovo in tanti libri e mi hanno francamente stancato. Mia opinione personale, espressa sul mio blog.

    Come poi, da un mio post su un argomento ben preciso, si possa farneticare sulla mia “crescita sul piano umano”… the mind boggles. Potrei offendermi anch’io, per la leggerezza con cui si giudica la mia personalità senza conoscermi, ma non sono il tipo.


  20. federica dice:

    ilaria scrive: “Come poi, da un mio post su un argomento ben preciso, si possa farneticare sulla mia “crescita sul piano umano”… the mind boggles.”

    ecco, ilaria, io credo come te che sia sbagliatissimo trarre conclusioni sul piano umano basandosi sulle parole che uno pubblica, in un libro, su un blog è lo stesso. ma tu hai fatto questo e questo evidentemente ti viene criticato. e giustamente a te non piace quando ne se l’oggetto. perché quando dici “le due co-traduttrici di Eclipse, la cui spocchia sembra non avere confini”, fai proprio questo, “farnetichi” (per usare una parola tua, io direi semplicemente “fai deduzioni”) sulla natura umana di due persone che non conosci personalmente. ripeto, personalmente è una cosa che non faccio e che non amo se viene fatta nei miei confronti. ma chi fa questo genere di commenti poi non può adontarsi quando ne è oggetto. è questione di fair play. è il tuo blog, certo, ma è pubblico, come un qualsiasi libro che viene pubblicato e per questo aperto a critiche e anche a deduzioni più o meno improprie sulla natura di chi scrivendoci per forsa di cose si espone e parla di sé, pur parlando d’altro.


  21. federica dice:

    chiedo scusa per i refusi che faranno venire l’orticaria a tutti i redattori qui presenti, ma vado di fretta. devo andare al lavoro. non mi basta tradurre. ho pure un altro lavoro che mi piace tantissimo e che mi arricchisce interiormente. sono un essere spregevole, lo so.


  22. Sandra dice:

    Cioè, tu puoi dire che: le opinioni degli altri sono ridicole; due colleghe che non hai mai visto sono spocchiose; fra le righe, chi parla in modo un po’ lirico della propria professione si crede un padreterno (”Non siete scrittori, non siete artisti, non siete sacerdoti di culti esoterici”); che chi rivendica il proprio legittimo diritto a un compenso dignitoso è uno che “frigna”; che gli autori del libro (e a questo punto tutti coloro che li “difendono”) si devono “ripigliare”; che chi afferma di lavorare con passione ti fa ridere; che chi si sostiene a vicenda nelle varie comunità virtuali che tanto hanno dato alla nostra professione “si atteggia a intellettuale incompreso”. Puoi prenderti la libertà, riparandoti dietro lo schermo del “ma io l’ho detto che sono ancora giovane e inesperta”, di eleggere la tua esperienza personale a illuminato esempio da seguire (”io… non faccio viaggi… penso solo alla pagnotta…”).
    Poi, se qualcuno - che questo lavoro lo fa (con serietà, dedizione, competenza e esperienza) da quando tu andavi ancora con la bicicletta con le rotelline - si permette di farti notare che forse hai ancora un po’ di strada da fare anche dal punto di vista umano, dici che ti senti giudicata con leggerezza da chi non ti conosce.
    Lo vedi il paradosso?


  23. Ilaria dice:

    No, ti sbagli, Federica: speravo fosse chiaro che mi riferivo alla spocchia che leggevo in quelle parole. Dove mai ho parlato delle persone? Come posso giudicare le persone solo in base a poche pagine? E soprattutto, che vuoi che me ne importi delle persone e del loro “piano umano”? Io ho detto, e lo ripeto, che secondo me c’è spocchia in quelle pagine. Punto.

    Dispiace che non sappiate accettare le critiche, pur quando si fa osservare che il mio disaccordo è espresso a titolo del tutto personale e riguarda certe mie idiosincrasie, e che quindi non pretende certo di dire l’ultima parola. E’ fin troppo facile venire tutti qua a farmi la predica; lo so che siete tanti, vi ho letti tutti. Mi guarderò bene dal parlare ancora di libri sulla traduzione: vedo che tocco corde troppo sensibili. C’ero già cascata altre volte, ma evidentemente non imparo dai miei errori.

    Riassumendo: a me non piace questo approccio passionale e sentimentale alla traduzione, come fosse un mestiere “speciale” e più “creativo” di altri. Lo vado ripetendo ad nauseam da anni. L’ho detto prendendo a modello questo libro, l’ho pensato anche leggendone altri. Il mio voleva essere un discorso generale. (A parte la faccenda di Twilight, che mi è sembrata davvero di pessimo gusto. Se io qua sul mio blog parlassi male delle utenti del blog ufficiale di Twilight, che gestisco, vi sembrerebbe carino? No, a me no. E non ne parlerei male in ogni caso, perché in fondo non mi stanno antipatiche, anzi.)

    Più chiaro, adesso? Non aggiungo altro perché non mi sembra di dovermi giustificare in alcun modo, e non so esprimere il mio pensiero più chiaramente di così. I commenti ovviamente restano aperti, infierite pure, il sarcasmo tagliente vi riesce bene

    Io intanto parlo d’altro, però.


  24. chiaradavinci dice:

    Per quanto riguarda le lettrici di Twilight io e Federica (che non è la Federica che ha appena commentato) ci teniamo a farti presente che noi non le abbiamo mai infamate. Magari parte di loro ha infamato noi, ma noi ci siamo guardate bene dal rispondere alle provocazioni. Anzi, se ti rileggi bene il testo, trovi quanto segue: “CH: Anche se alcune di loro ce ne hanno dette di tutti i colori, in realtà dà soddisfazione sapere che il nostro lavoro non passa inosservato. La maggior parte delle fan si è detta soddisfatta e si ricordano persino i nostri nomi.”

    Se poi ti fossi presa la briga di leggere anche il resto, avresti visto che si parla molto di attenzione al testo, e soprattutto di revisione. Nonché di rispetto e simpatia per i colleghi che si stimano. E sottlineo stimano, perché a me la cosa che dà più fastidio del tuo atteggiamento è il livore nei confronti della categoria, come se tu sola avessi capito davvero il mondo della traduzione.

    Poi, spocchia o non spocchia (ripeto, se lo leggi bene, lì dentro c’è tutto meno che spocchia, ma se ci si vuol vedere per forza ci si trova, come ci si trova anche l’esaltazione del terrorismo, o la ricetta della pappa col pomodoro), alla fin fine l’unica critica che sei stata in grado di difendere è stata quella dei trattini. Quindi, vittimismi a parte (perché parli tanto del fatto che i traduttori si sentono vittime, ma qui l’unica davvero che si dichiara incompresa sei tu), possiamo davvero ritenerci soddisfatti.


  25. Ilaria dice:

    Ma a me va benissimo! Avete vinto voi, va bene? Io volevo solo esprimere la mia opinione, e l’ho fatto, nella libertà che il blog mi consente. Voi avete espresso la vostra, e siamo tutti parimenti soddisfatti. Vi lascio volentieri la palma della vittoria, se proprio ci tenete a considerarla una gara in cui bisogna “difendersi”.

    Grazie per avermi preso così sul serio, non credo di meritare tante attenzioni.


  26. chiaradavinci dice:

    Ilaria, scusami, ma forse dovresti imparare a leggere un po’ meglio quello che gli altri scrivono, peché in tutta questa querelle l’unica che è stata sulla difensiva sei tu (e lo conferma quello hai scritto su Friendfeed sotto ai commenti).

    Qui nessuno è venuto a giudicarti, men che meno a linciarti, né nessuno ha preteso di vincere nulla. Abbiamo solo espresso le nostre posizioni in merito al tuo articolo. Mentre tu hai espresso un giudizio e poi ti sei chiusa a riccio: io la penso così, punto e basta. E non è un bell’atteggiamento in generale. Perché alla fine ti fa passare comunque dalla parte del torto.

    Io non parlavo di difendersi, ma di difendere le proprie idee, di dialogare, di ascoltare quello che dicono gli altri e poi rispondere, esponendo le proprie idee e convinzioni in risposta a quello che ti viene detto. Il “non aggiungo altro perché non mi sento di dovermi giustificare” è figlio dello stesso atteggiamento. E dell’atteggiamento da vittima incompresa dell’universo di cui parlavo prima.

    A noi fa piacere sapere cosa pensi del libro, ma senza discorsi fatti per partito preso, senza giudizi buttati lì senza spiegazioni, perché non è questo il senso della letteratura e della comunicazione in generale (e il blog cos’altro è, se non comunicazione?). Quindi al tuo giudizio sono state mosse delle obiezioni e se tu pensi che queste obiezioni siano sbagliate, puoi e devi controbatterle, ma con cognizione di causa, non con dei semplici “Io la penso così”. E questo è un consiglio che ti do per la vita in genere, non solo per il mondo della letteratura.

    Alle volte quelli che si dichiarano incompresi come te mi fanno pensare agli inglesi che quando nella Manica c’è una tempesta dicono che il continente è isolato.

    Senza rancore,
    Chiara


  27. Stefano dice:

    Cara Ilaria, io non sono un traduttore nel senso “puro” del termine. Con questo intendo che non faccio il traduttore come mestiere primario, ma si potrebbe dire che sono un aspirante accademico. Mi è però capitato di tradurre, non romanzi, ma poesia e devo dire che forse non aiuterà a capire se stessi, ma sicuramente permette di penetrare in profondità il tessuto linguistico, lo stile, la simbologia di ciò che si sta traducendo. Per non parlare degli aspetti culturali. Perché ad esempio il traduttore di Angels in America ha tradotto il nome del gatto di Prior Walter come “Lassie” anziché chiamarlo “Sheba” come nell’originale? Perché ha avuto la sensibilità di capire che nessun italiano conosce il testo teatrale di William Inge “Come Back, Little Sheba”, ma tutti conoscono “Torna a casa, Lassie”. Traduttore traditore? Traduttore sensibile, mentalmente aperto e traduttore creativo a parer mio.
    È vero che la traduzione non è una creazione indipendente, ma non si può, a parer mio, annullare totalmente il contributo creativo che un traduttore offre. È verissimo, ci sono traduzioni pessime di romanzi e di saggistica, che hanno stravolto gli originali. Lo sapete, per esempio, che “Il secondo sesso” di Simone De Beauvoir è stato tradotto in inglese da un entomologo che aveva studiato 2 anni di francese quarant’anni prima? E che il signore in questione ha eliminato delle citazioni di Heidegger, riassumendole e capovolgendone il significato. Su questa traduzione molti critici e teorici si sono basati per accusare De Beauvoir di cose che mai si sarebbe sognata di dire…
    Però esistono anche quei casi in cui il testo originale è un testo pessimo e il traduttore, con il suo lavoro, lo migliora. Non è un contributo artistico? Non è creativo? Le traduzioni dall’anglosassone di Roberto Sanesi sono solamente sano artigianato o lavoro di pialla? Io non credo, esattamente come non credo che taluni artigiani (falegnami, ecc.) non diano un contributo creativo con le loro opere. Come sempre “in medio stat virtus”. Penso che per questi motivi tutti coloro che si occupano di letteratura dovrebbero confrontarsi con la traduzione almeno in qualche momento del loro percorso.

    Scrivi:
    a me non piace ragionare in termini di passione/amore per il lavoro che si fa. Personalmente non associo i concetti di “lavoro” e “passione”, e non perché il mio lavoro non mi piaccia, ma soltanto perché ho un carattere molto freddo e non mi ritrovo affatto nell’approccio un po’ lirico e sentimentale di molti traduttori

    Io sono invece una persona a cui piace ragionare in termini di lavoro che si fa con passione, anche perché altrimenti non riuscirei a farlo per molto o lo troverei incredibilmente triste. Il fatto che a te non piaccia associare il lavoro alla passione è una cosa tua - forse, come dici tu dipende dal tuo carattere freddo - ed è rispettabile, ma chi, invece, la pensa diversamente è altrettanto rispettabile.

    Mi fanno un po’ ridere quei discorsi perché mi sembrano pomposi, e forse cerco arricchimento interiore in altre letture e in altre esperienze (non lo so, non rifletto molto su queste cose). Avrei potuto essere più diplomatica, ma non è nel mio stile. Era inevitabile che qualcuno se la prendesse, ma ribadisco la mia opinione nel rispetto delle opinioni altrui

    Hai personalizzato il discorso, il che è giusto perché dimostra che si tratta di un possibile punto di vista. Posta così è una cosa che apprezzo. Dal tuo primo post, invece, non c’era questa “tolleranza” di cui parli. Quando scrivevi:

    A me paiono degli invasati. Alcuni eh, mica tutti. Signori, e soprattutto signore, ficcatevelo in testa:

    1) Non siete scrittori, non siete artisti, non siete sacerdoti di culti esoterici.
    2) Tanti redattori sono più artisti di voi. E sapete quanto guadagna il redattore precario che rivede la vostra traduzione e corregge i vostri erroracci (e i miei)?
    3) (corollario del precedente) Smettetela una buona volta di frignare che la vita è agra, e che le cartelle da duemila battute son tante, e che vi pagano poco: l’editoria è piena di gente che guadagna meno di voi.
    4) (corollario globale totale) Ripigliatevi.

    non mi sembrava che ci fosse poi tutto questo “rispetto per le opinioni altrui” e chi lo dice che io e te siamo i depositari della Verità assoluta e non siamo invece noi a doverci ripigliare?

    Sulla questione dello “sfruttamento” dei traduttori sono d’accordo con chi sostiene che il fatto che i redattori e i correttori di bozze siano pagati meno dei traduttori non giustifica il fatto che i traduttori non ricevano il giusto compenso per il loro lavoro. Esasperando volutamente il discorso sarebbe come dire che siccome in Pakistan ci sono bambini di 6 anni che lavorano 14 ore al giorno per fare tappeti prendendo mezzo dollaro al giorno, allora i bambini di 7 anni che in Bangladesh fanno palloni da calcio per un dollaro al giorno devono ritenersi fortunati…
    Ora capisco che fare il traduttore o l’assegnista di ricerca non è come andare nelle zolfare o nelle miniere di carbone (e mi ritengo fortunatissimo per il fatto di non doverlo fare), però il fatto che altrove i traduttori abbiano trattamenti molto più degni e che le case editrici, nonostante ciò, non falliscano significa che almeno potenzialmente la cosa si può fare. E allora perché non rivendicare? Certo, lottare, non piangersi addosso (che è un’altra cosa).


  28. Ilaria dice:

    @Chiara: Prendo atto, ma davvero non ho altro da ribattere, perché non voglio convincere nessuno della giustezza delle mie opinioni.

    Quello che ho scritto su FF si riferisce al fatto che non è questa la prima volta che mi metto contro i “colleghi”. Evidentemente la penso in modo diverso dalla maggioranza. Nessun vittimismo da parte mia, assolutamente. Solo un sorriso sotto i baffi, perché lo sapevo bene che finiva così anche stavolta, e mi ci sono ricacciata dentro di mia spontanea volontà. Me le vado a cercare.

    @Stefano: mi sembrava la cosa più ovvia del mondo che il discorso fosse personalizzato fin dall’inizio! E’ un mio commento su un libro che ho letto, come fa a essere verità rivelata?

    Mi spiace, ma tutti questi commenti non fanno che rafforzare in me l’idea che stiate prendendo la faccenda troppo sul serio. Meglio se la smetto di recensire libri italiani, credo.


  29. Ilaria dice:

    (Ho aggiunto un disclaimer in cima al post, evidentemente la “personalizzazione” del mio discorso non era chiara, me ne rammarico. Speriamo così di bloccare sul nascere ulteriori polemiche che iniziano a sembrarmi un po’ sterili.)


  30. Flores dice:

    Uhm, scusa Ilaria, tu hai parlato di spocchia riferito alle autrici, non al testo. Ora veniamo a scoprire che gestisci il blog di Twilight, dove, come abbiamo detto anche nel testo, tutte si improvvisano più o meno traduttrici. Se permetti qui gatta ci cova, o se preferisci, rosicata ci cova, ed è legittimo da parte mia pensare che Eclipse e tutto il resto avresti preferito tradurlo tu, e ti dirò, magari l’avresti fatto anche meglio vista la passione che porti a quella roba. Invece però, come si dice in italiano, l’abbiamo tradotto noi, e senza mancare di rispetto a niente e a nessuno abbiamo espresso la sintesi in parodia della nostra esperienza che non è stata di godimento estremo da nessun punto di vista, e l’assurdità di critiche piovute da siti che evidentemente frequenti dove ci hanno tacciato di aver saltato centinaia di pagine senza tener conto dell’impaginazione, converrai che non è proprio un’annotazione delle più intelligenti…Eclipse non è la pagnotta, è un libro, e come tale l’abbiamo criticato, cercando di scherzarci sopra o se preferisci di traslare il grottesco dell’esperienza di tradurlo nel grottesco di una parodia teatrale. O forse che non possiamo criticare le cose che noi stessi scriviamo o addirittura mangiamo in senso letterale? Siamo matti? Mangiamo tanta di quella fetenzia…


  31. Ilaria dice:

    Ma certo che potete criticarlo! Come io posso dire che non mi è piaciuto leggere quel che avete scritto. Possiamo fare tutto quel che vogliamo, ci mancherebbe.

    Quanto all’assurdità di cui mi accusi, cioè che vorrei averlo tradotto io, non credo di dover replicare: mi pare si commenti da sola. Fino a un mese fa ignoravo l’esistenza della Meyer, e ho letto i libri soltanto per esigenza di lavoro, quando mi hanno assegnato la stesura di una serie di articoli in proposito. Non ho alcuna passione per “quella roba”, come la chiami tu; preferisco altri sottogeneri del fantasy. Ma - sempre a proposito di “rispetto per il lavoro altrui”, non mi sento neppure di farla a pezzi finché non avrò venduto anch’io qualche milione di copie con un mio libro.

    E ribadisco che parlavo di spocchia riferendomi, appunto, alle autrici di quel testo, in quanto autrici di quello specifico testo (i testi non si scrivono da soli); non alle persone che ci sono dietro, che non conosco e non posso valutare nel complesso. L’impressione che ho avuto, leggendo *quel* testo, è che le traduttrici si sentissero superiori al libro, superiori all’autrice, e “sprecate” per un lavoro così ingrato e noioso. A me è sembrata una cosa brutta da dire pubblicamente. L’ho trovato spiacevole.


  32. khamsin dice:

    Cari tutti,
    mi inserisco nel dibattito. Sono una profana, una NON traduttrice. O meglio, la traduzione l’ho bazzicata in sede di studio e di sporadiche collaborazioni eminentemente gratuite. Insomma, non è il mio mestiere ma comunque mi ci sono confrontata abbastanza sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista pratico. E, lavorando in editoria, mi ci confronto ancora.
    Premetto anche che non ho letto il libro che Ilaria recensisce.
    Alla luce di tutto questo, vorrei - se è lecito - esprimere il mio parere, forse superficiale, sulla discussione in corso.
    Non mi stupiscono e non mi scandalizzano le parole e il tono di Ilaria nel suo post: chi bazzica questo blog sa che Ilaria ha questo modo di affrontare le questioni di petto, con un approccio molto tranchant e forse a volte un po’ veemente. Può piacere, può non piacere, ma già sapere che questo è il suo modo di scrivere, secondo me aiuta nell’affrontare con il giusto metro la questione.
    Detto questo, se il post di Ilaria è irruento e tagliente (forse troppo, per certe orecchie sensibili), certi commenti al limite della crisi isterica mi lasciano estremamente perplessa. E l’esagerazione delle accuse mosse all’autrice del blog risulta palese nel momento in cui si legge il commento di Stefano. Che esprime, se non un’idea opposta, quanto meno una posizione nettamente distinta da quella di Ilaria. Ma con spunti obiettivi, fecondi, interessanti - lui sì che ha replicato “sostanzialmente” alle considerazioni di Ilaria.
    E alla fine, se vedete, le posizioni non sono troppo diverse. Certo, per tradurre buona letteratura e buoni saggi occorre un guizzo, un’intuizione che non è da tutti, un qualcosa che rende un traduttore davvero “speciale” e diverso dagli altri. Ma prima di arrivare lì (o meglio, per poter mettere a frutto davvero certe intuizioni, certe sensibilità) ci vuole una base di mestiere, esperienza, “lavoro sporco” che è esattamente quello di cui parla Ilaria - e in cui francamente, la mistica del traduttore demiurgo mi pare francamente fuori luogo.
    Ma d’altra parte, se alcuni traduttori hanno queste doti speciali, certo è che la maggior parte dei traduttori si attesta a un dignitoso livello medio che non risveglia certo entusiasmi da strapparsi i capelli. Certo, in molti casi sono le opere di partenza che non consentono grandi dimostrazioni di bravura da parte del traduttore, ma altrettante volte è il traduttore che non è in grado di fare di più.
    E mi sembra normale. Mi auguro che il mondo di traduttori non sia un mondo di geni - non più del mondo in cui ci muoviamo noi altri non traduttori. Geni pochi, da ’ste parti. Onesti artigiani già di più.

    Sarebbe potuta nascere una discussione interessante.
    Ma, leggendo quello che in sostanza era “gnè gnè gnè - è tutta invidia - lo volevi tradurre te e invece l’ho tradotto io - pappappero”, mi sembra di essere stata catapultata sul set di “Uomini e donne” - oddìo, ‘ndo sta la De Filippi?

    E, se devo dirla tutta, preferisco un’opinione ruvida ma onesta espressa con scarsa diplomazia piuttosto che quelle incensate false come delle patacche che si sentono troppo spesso in diverse situazioni - tipo le presentazioni dei libri, tanto per rimanere in ambito editoriale.

    Ok, forse sono andata fuori tema. Di solito mi viene bene.
    Buona traduzione a tutti.


  33. Ilaria dice:

    khamsin: grazie. Io continuo a stupirmi di aver suscitato tante reazioni… Ripeto, non recensirò più libri di autori italiani, se poi devo stare un giorno intero a leggere commenti inferociti. E tentativi di psicanalizzarmi! Quelli son proprio il massimo del minimo.

    Purtroppo nel frattempo il “pappappero” ha assunto, fuori da questo blog, toni ancor più infantili. Scene tristissime, ti assicuro. Quanto a me, mi faccio sane risate, rincuorata dal pensiero che questa “tribù” (o lobby, vogliamo chiamarla? wannabe-lobby, via!) non detiene un potere concreto. Altrimenti ci sarebbe da aver paura, visto quanto sono coalizzati.

    Vabbè, non ritorno sulla questione del “volevi tradurlo te” perché è talmente ridicola che sfida ogni commento. Chissà se queste persone hanno letto la lista dei libri che ho tradotto… altro che Meyer, mi ritengo molto fortunata.

    Se poi in futuro mi capitasse un libro della Meyer, lo affronterei col massimo rispetto e sarei ben felice di tradurlo, come ho tradotto altri fantasy.


  34. Reloj dice:

    50 applausi per Khamsin, che ha detto tutto quello che volevo dire io

    E poi, polemiche a parte: riguardo alla questione se il traduttore sia più o meno artista o più o meno artigiano, credo che la differenza fra le due cose sia soltanto quel guizzo, che è il genio, ovvero quell’abilità di creazione che un artista possiede e un artigiano no.
    Se però l’obiettivo supremo del traduttore dev’essere lo scomparire dietro il testo, è assolutamente indifferente che egli sia un artista, perché in ogni caso deve fare di tutto perché la sua arte non traspaia nemmeno un po’.
    Io credo che tanto una persona che traduce appassionandosi e facendo l’amore coi romanzi quanto una persona che traduce solo cercando di guadagnarsi la pagnotta possano tradurre benissimo e con serietà e ottenere ottimi risultati. Ma credo anche che per uno che si appassiona tanto a quello che traduce (tanto da entrare in quotidiana estasi!) sia più difficile distanziarsi dal testo quanto dovrebbe per tradurlo senza scivolare in scelte troppo personali che rovinerebbero la traduzione.


  35. Flores dice:

    Non è così ridicola la questione del volevi tradurlo te, per il motivo che ti ho già detto: i blog e forum vari su Twilight traboccano di gente che dice “l’avrei tradotto meglio io”, e poi non sa neanche cos’è l’impaginazione. Io c’ho colto una punta d’invidia nelle cose che hai scritto su di noi, semplicemente. Magari mi sbaglio, meglio così. Quanto al rispetto per il libro, ne abbiamo avuto molto se leggi bene vil testo. Un conto è rispettare, un conto è criticare, un altro ancora è scherzarci su. Non sono tre cose incompatibili fra loro, e questo è il bello della natura umana.


  36. Elisa Z. dice:

    Ma dove si crede di andare Ilaria con i suoi capitolini di libri tradotti e eminenti titoli come “L’invasione delle ultrafobie”? Si può chiamare uno stage da Rizzoli come correttrice di bozze un lavoro da redattrice di responsabilità in una casa editrice sottolineato di quelle grandi e importanti? Che Ilaria impari prima un bel po’ di umiltà da gente che traduce molto, molto bene e testi di prestigio…


  37. Ilaria dice:

    Non mi pronuncio su quest’ultimo commento, perché gli insulti personali non li gradisco. Se la signora in questione avesse letto tutti i commenti precedenti, avrebbe già visto la modestia con cui parlo della mia scarsa esperienza. Per avere meno di trent’anni, mi sembra tuttavia di aver già tradotto saggisti e giornalisti di un certo prestigio, e mi sento fortunata, e sono grata a chi mi ha affidato quelle traduzioni. Forse la signora è andata a cercare le ultrafobie (libro molto carino peraltro, e difficilissimo perché pieno di giochi di parole e humour inglese) e le è sfuggita Naomi Klein.

    Non mi credo di andare da nessuna parte, ma spero di migliorarmi con il passare degli anni. Che ci siano traduttori migliori di me è indubbio, e li leggo con piacere per imparare; che ce ne siano di peggiori è altrettanto indubbio, ed è sotto gli occhi di chiunque abbia rivisto traduzioni in casa editrice.

    Rispondo invece a Flores: probabile che io abbia colto spocchia dove non ce n’era, ma probabile anche che tu colga invidia dove non ce n’è. Mi scuso se ho male interpretato il tuo testo, però ti segnalo che io e alcune persone abbiamo letto un po’ di supponenza nelle vostre parole. Non so se altri oltre a noi abbiano avuto quest’impressione, forse c’è un’ambiguità di fondo nel testo, non so.

    Ribadisco il mio dispiacere per il fatto che una discussione potenzialmente interessante si sia ridotta a una serie di squallidi insulti ad personam e bambinate sparse in giro per la rete. E’ un peccato che non tutti sappiano riflettere su se stessi; ma mi fa piacere che alcuni dei commentatori di questo post invece ci riescano.


  38. Daniele dice:

    Cara Ilaria e cari tutti,
    sono anch’io tra gli autori - non certo il più illustre - del libro. Tanto per aggiugere anche la mia personale opinione, mi sembra che quello che tu consideri essere esaltati, spocchiosi e invasati, sia semplicemente un modo di esprimersi, diverso per ognuno di noi. La sensazione che uno descriverebbe come “traducendo il tal libro mi sono divertito da matti” magari un altro la descrive come “sono entrato in contatto con me e con l’Assoluto”. Embe’? Certo, liberissima di apprezzare uno dei due modi e non l’altro, ma non c’è bisogno che nessuno si ripigli, credo.
    Buona lettura e buone traduzioni,
    Daniele


  39. Ilaria dice:

    Posto qui un paio di osservazioni conclusive, dopodiché spero che la diatriba andrà morendo di morte naturale. Non ho alcuna intenzione di pubblicare un altro post sull’argomento: del resto avete già portato un sacco di visite al mio blog, roba che neanche spammando su tutti i memetracker del mondo e autotumblerandomi. Cazzo, questa sì che è la coda lunga. La gente figa litiga con le blogstar; io al massimo riesco ad azzuffarmi con i traduttori.
    .
    Credo che questo post metta la parola fine, con un’eleganza di cui io non sarei mai capace, alla polemica innescata dalla mia recensione. Ci metti quaranta commenti a dire una cosa, e poi trovi chi la dice meglio di te.
    .
    Mi dispiace che l’immagine proiettata all’esterno dalla comunità italiana dei traduttori – o almeno di una sua parte – non sia uscita a testa alta, nel complesso, da quella discussione. Mi rattrista anche se, lo ripeto, non mi sento parte di quella comunità, dal momento che non è nel mio carattere rivendicare l’appartenenza a “tribù” né rappresentare gli interessi di un “gruppo” contro gli editori grassi e avidi e cattivi.
    .
    Mi strappa una risata, invece, vedere che dopo tre giorni (un tempo lunghissimo, in rete) c’è ancora chi si rode per la recensione scritta da una perfetta sconosciuta su un piccolo blog di periferia. Evidentemente ho toccato qualche nervo scoperto.
    .
    Ed è triste, sopra ogni cosa, che qui dentro qualcuno non capisca un fatto secondo me basilare: che non importa quali libri hai tradotto, quali autori, ma importa come li hai tradotti. Tutti i libri dovrebbero avere pari valore per un traduttore: purtroppo sembra che per certe persone non sia così. Io vado fiera dei libriccini di varia, dei romanzi e dei grandi saggi di geopolitica, in egual misura. Mi hanno posto sfide traduttive diverse. Non c’è libro che non ti faccia imparare qualcosa del tuo mestiere: e se c’è, per mia fortuna devo ancora incontrarlo. (E come dice Wu Ming 1: non puoi essere “avanguardia” se non ti sporchi le mani con la cultura pop. Io ho scritto un libro su Harry Potter: per il momento direi che ho la coscienza a posto. La prossima voce da spuntare nella mia to-do list presumo sia: imparare a parlare Klingon e Quenya.)
    .
    [Continua]


  40. Ilaria dice:

    [Continua dal commento precedente]
    Era anche questo che intendevo per “spocchia” e “prendersi troppo sul serio”, cioè dire: io sono migliore di te perché ho tradotto libri più seri, più artistici, più letterari, lei-non-sa-chi-sono-io. Un giorno dovrò fare una digressione anche su questo disprezzo per la saggistica, non a caso cenerentola dell’editoria italiana, e che secondo qualcuno sarebbe più facile da tradurre. Ma senza allungare troppo il discorso in questa sede, continuo a pensare che il traduttore sia un onesto artigiano e nulla più, e che il successo più grande a cui può aspirare sia l’invisibilità totale. La traduzione, dice Umberto Eco, è come un paio di occhiali da presbite: una protesi necessaria ad alcune persone per avvicinarsi al testo originale. Il lettore deve vedere il testo, non la montatura degli occhiali. Ergo, a mio avviso ogni forma di protagonismo da parte del traduttore è pericolosa. E la retorica con cui certi traduttori narrano i dolori della loro “arte” (ripeto, non tutti gli autori del libro in questione, e non parlo solo di quel libro) mi fa ridere, come in realtà mi fa ridere anche da parte degli artisti veri. Inspiration/perspiration, com’è noto. Che poi alcuni vengano qui a psicanalizzare me, senza nemmeno sapere chi io sia, è faccenda che si commenta da sola.
    .
    In ottemperanza alle linee guida di questo blog, mi vedo costretta a lasciare aperti i commenti; ma vediamo di non ricominciare a gridare, per cortesia. A volte mi pento di aver deciso di non moderare i commenti: altri blog li avrebbero bloccati da tempo e cancellerebbero gli insulti più gravi; ma tant’è, voglio essere coerente. Si tratta fra l’altro di discorsi noiosissimi per il novanta per cento dei lettori di questo blog, dove solitamente si parla d’altro (scusate, gente). Chiudo come ho aperto: leggete questo post e via, siamo a posto così. Voi continuate a scrivere le vostre testimonianze, io continuerò a pensare – con rinnovato vigore dopo questa sceneggiata – che alcuni di voi si devono proprio ripigliare un po’. Let’s agree to disagree. Tanto io non sono nessuno, chissà perché vi interessa tanto la mia opinione.

    E ora basta, per carità, ci siamo già resi abbastanza ridicoli di fronte a chi ci legge, tra cui – vi ricordo – anche alcune figure interne alle case editrici. Quelli che correggono i vostri e i miei errori di traduzione, per capirci.


  41. due cose ancora sul mestiere editoriale « ferramenta dice:

    [...] l’ultimo periodo di lavoro è stato abbastanza intenso e poco “aggiornato”), ilaria viveva un momento di celebrità scrivendo di libri e traduzione. non ripeterò qui ciò di cui si [...]


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  • roberta,
  • Reloj
  • 31 December 1969 at 6:33 pm Reloj
    sento cos'hanno da dire i professionisti e poi commento anche io ;)
  • 31 December 1969 at 6:33 pm Ilaria K
    come previsto, e come al solito, i professionisti mi stanno linciando. Me la caverò anche stavolta.
  • 31 December 1969 at 6:33 pm Reloj
    non ho dubbi. E per solidarietà, vado a risolvere delle questioni in banca.
  • 31 December 1969 at 6:33 pm .mau.
    tanto a te piace essere linciata! Mo' vado a commentare io da buon dilettante.

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